LIBERTÀ. GIUSTIZIA. UGUAGLIANZA.

Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni per i diritti del popolo palestinese.

Dopo gli ennesimo bombardamenti sui civili nella Striscia, il governo britannico promette una revisione "caso per caso" di tutte le licenze per le forniture belliche operative a Gerusalemme "per confermare o meno quello che noi pensiamo, che siano appropriate": verranno rivisti gli invii di armamenti, materiale per software e comunicazioni militari. Stop alle vendite se "c’è un chiaro rischio che possano provocare o prolungare il conflitto"

Nessuno stop alla fornitura di armi dal Regno Unito verso Israele, ma il governo di David Cameron promette ora una revisione “caso per caso” di tutte le licenze per le forniture militari operative, per cercare di capire quali di questi accordi preveda l’invio di “tecnologie per la repressione interna”. Non un dietrofront, quindi, ma comunque una prima, importante presa di coscienza da parte della Gran Bretagna. Quanto succede in Medio Oriente preoccupa Downing Street e il parlamento britannico, nonostante lo stesso Cameron, anche recentemente, abbia più volte ripetuto che “Israele ha un legittimo diritto all’autodifesa”. Però, domenica 3 agosto, dal governo del Regno Unito è arrivato anche un sostegno all’Onu. “Hanno fatto bene a condannare il bombardamento delle scuole definendolo ‘un oltraggio morale’”, ha detto il primo ministro conservatore. Così, ora, Londra si trova davanti a un bivio, prendere parte e condannare Israele, come del resto sta facendo già da settimane il partito laburista all’opposizione, oppure continuare a fare come gran parte del mondo occidentale. E la strada intrapresa da Cameron nelle ultime ore sembra chiara: interrogarsi sulla natura del proprio rapporto con quel paese. Per confermare la propria posizione, quasi sicuramente, ma pur sempre con dei distinguo.

Parlando con il Guardian, un portavoce dell’esecutivo ha detto: “Al momento stiamo rivedendo tutte le licenze per le esportazioni verso Israele, per confermare o meno quello che noi pensiamo, che siano appropriate”. Così verranno rivisti quegli invii di materiale per software e comunicazioni militari, ma anche di armamenti. Una presa di posizione che stride con il silenzio italiano, anche dopo la notizia che l’Italia, in Europa, è il primo fornitore di sistemi militari dello stato israeliano, uguagliando l’export di Francia, Germania e Regno Unito messi assieme, come rivelano numeri e dati dell’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa. Così mentre anche gli aerei militari d’Israele si esercitano in Sardegna, Londra ora cerca almeno di ripulirsi la faccia, dicendo che il dubbio è stato instillato. Non è detto, infatti, che tutte quelle armi vengano usate nel migliore dei modi, secondo gli standard internazionali, sempre che esista un modo ottimale di usarle.

Scrive ancora il Guardian, la presa di posizione di Cameron è arrivata anche dopo le proteste delle associazioni umanitarie britanniche, preoccupate soprattutto per licenze pari a 42 milioni di sterline, più di 50 milioni di euro, garantite a 130 aziende del Regno Unito per la vendita di componenti per quei droni Hermes ormai diventati tristemente famosi e per carri armati da battaglia. Lo scorso luglio, ricorda il quotidiano, uno dei sottosegretari del ministero degli Esteri, Tobias Ellwood, aveva detto che “il Regno Unito non crede che imporre un embargo su Israele possa promuovere il progresso di pace nel Medio Oriente. Ogni paese, Israele incluso, ha un legittimo diritto all’autodifesa e il diritto a difendere la cittadinanza dagli attacchi. In questo modo, è vitale che tutte le azioni siano proporzionate, in linea con la legge umanitaria internazionale e calibrate per evitare vittime civili”. Tutte cose che, come riportato ampiamente nelle ultime settimane, sono venute evidentemente a mancare. Cameron non ha detto di no al supporto a Israele. Ma qualcosa si sta incrinando nel sostegno allo stato ebraico, se anche un altro portavoce governativo arriva a dire al Guardian che “non daremo più licenze se c’è un chiaro rischio che l’equipaggiamento venga utilizzato per la repressione interna o se c’è un chiaro rischio che possa provocare o prolungare il conflitto”.

Fonte: Il Fatto Quotidiano