Da: Al-Shabaka (Leggi anche Parte I e Parte II)

Al- Shabaka è un'organizzazione no profit indipendente la cui finalità è educare e rafforzare la discussione pubblica sui diritti umani e l'autodeterminazione dei palestinesi nel quadro delle leggi internazionali.

In questo editoriale politico di Al-Shbaka Maren Mantovani e Jamal Juma analizzano alcuni sviluppi che il complesso militare industriale di Israele deve affrontare, con una particolare attenzione alla campagna contro Elbit Systems. L'editoriale analizza i momenti difficili che l'industria si trova di fronte, il mito della superiorità tecnologica di Israele, i cambiamenti locali e globali dell'industria e le alleanze emerse per opporsi alla militarizzazione ed alle tendenze sicuritarie nelle varie società. In base a questa analisi delineano indicazioni preziose ed identificano percorsi da seguire per il movimento globale di solidarietà con la Palestina.

Fare causa comune contro la militarizzazione

L’appello per un totale embargo militare verso Israele non si basa soltanto sulla richiesta palestinese di porre termine all’impunità di Israele e alla complicità di tutto il mondo con il suo regime di apartheid. Fa anche parte di una lotta globale contro le guerre e la repressione e contro la militarizzazione e gestione sicuritaria della società. C’è una crescente consapevolezza delle modalità attraverso cui le esportazioni israeliane militari e “per la sicurezza interna” contribuiscono a queste prassi con nuove tecnologie e metodologie sviluppate nel processo di occupazione militare, apartheid e pulizia etnica del popolo palestinese. A loro volta, la militarizzazione e la gestione sicuritaria contribuiscono a sostenere l’industria militare israeliana e le politiche contro i palestinesi.

Parallelamente al crescente ruolo di Israele in questa militarizzazione, i movimenti in tutto il mondo stanno facendo causa comune con il movimento BDS contro la repressione e la discriminazione da parte delle forze militari e di polizia. La campagna contro la compagnia israeliana “di sicurezza interna” International Security and Defense Systems (ISDS) ne è un importante esempio. La ISDS è stata fondata nel 1982 da ex-agenti del Mossad. Giornalisti di inchiesta e ex-membri di giunte militari riferiscono che ISDS ha addestrato gli squadroni della morte in Guatemala, El Salvador, Honduras e Nicaragua ed ha preso parte a golpe e a tentativi di colpo di stato in Honduras e Venezuela.

Attualmente ISDS addestra la famigerata forza di polizia militare BOPE a Rio de Janeiro, ammettendo con orgoglio che la polizia nelle favelas utilizza le stesse tecniche che Israele usa a Gaza. ISDS ha anche ottenuto un contratto che le ha fatto molta pubblicità con i Giochi Olimpici di Rio del 2016. Movimenti palestinesi come Stop the Wall (Fermare il Muro, ndt) e il Comitato Nazionale del BDS (BNC) hanno unito le loro forze a quelle dei movimenti popolari di Rio che lavorano per i diritti umani nelle favelas, in una campagna denominata "Giochi Olimpici senza apartheid", per ottenere la cancellazione del contratto.

Analoghi rapporti sono stati instaurati tra il movimento di solidarietà palestinese e gli attivisti neri negli USA, che nel 2015 hanno emesso una dichiarazione di solidarietà sostenuta da oltre 1000 attivisti ed intellettuali neri, che afferma che “l’uso massiccio da parte di Israele della detenzione e dell’arresto dei palestinesi evoca l’incarcerazione di massa del popolo nero negli USA, inclusa la detenzione politica dei nostri rivoluzionari” e fa appello alla lotta comune contro la compagnia di sicurezza G4S. Inoltre nell’agosto 2016 il movimento "Black Lives Matter" (la vita dei neri è importante, ndt) ha appoggiato il movimento BDS.

Il muro al confine tra USA e Messico è un altro luogo che vede la lotta comune tra attivisti della solidarietà palestinesi e il popolo indigeno colpito dalla messa in pratica delle metodologie e tecnologie israeliane nella loro terra, in cui la Elbit Systems ricopre un ruolo centrale.

La campagna nell’UE per sospendere i finanziamenti alla Elbit Systems e ad altre compagnie militari israeliane riguarda un maggiore coinvolgimento per ogni cittadino europeo. Con un budget di 80 miliardi di euro (circa 88 miliardi di dollari al tasso di cambio di fine 2015), l’attuale programma di finanziamento dell’UE per la ricerca e lo sviluppo Horizon 2020 è tra i maggiori progetti di finanziamento al mondo. Ridistribuisce il denaro dei contribuenti soprattutto a istituzioni aziendali ed accademiche che sviluppano ricerche al servizio di grandi business, compresa la cooperazione con le imprese militari israeliane. I progetti di ricerca con le imprese militari israeliane spesso sviluppano tecnologie a doppio uso (sia militare che civile) in aperta violazione delle norme dell’UE e contribuiscono alla militarizzazione ed alla deriva sicuritaria delle società europee. La maggioranza degli europei, se sapesse come è stato usato il suo denaro, probabilmente concorderebbe sul fatto che l’UE nuoce non solo ai palestinesi, ma anche ai suoi stessi cittadini spendendo denaro in guerre che creano nuovi rifugiati ed in tecnologie che controllano, discriminano per razza ed opprimono gli europei invece di andare incontro alle loro necessità.

Prendere di mira i punti deboli delle forze armate israeliane

La nota informativa ha cercato di fornire una panoramica del complesso militare industriale di Israele e di identificare delle possibilità d’azione che permettano di ridurre i profitti industriali e poi portino ad un embargo delle armi finché non vengano ottenuti i diritti dei palestinesi. Si tratta indubbiamente di un impegno importante: il complesso industriale militare comprende imprese potenti, propaganda e sistemi di promozione e vendita spudorati, impianti di difesa globale che spesso sono lontani dal discorso e dalla portata degli attivisti della solidarietà. Eppure non è solo un’esigenza etica per i paesi quella di interrompere le relazioni militari con Israele finché esso non rispetti il diritto internazionale; è anche una campagna che può essere vinta. Sicuramente, sulla base dell’esperienza fino ad ora e alla luce della precedente analisi, ci sono diverse possibilità da prendere in considerazione per gli attivisti.

Al livello più basilare, sono indispensabili l’educazione dell’opinione pubblica e la mobilitazione. La maggior parte delle persone comprende intuitivamente che i rispettivi governi non dovrebbero mantenere relazioni militari con una potenza di occupazione che sferra sistematici attacchi militari contro la Striscia di Gaza sotto assedio ed altri paesi vicini, così come compie incursioni, raid, demolizioni di case ed altre violazioni di diritti umani contro la Cisgiordania e Gerusalemme est occupate – soprattutto poiché questi atti non soltanto infrangono il loro codice morale, ma anche le leggi dei loro paesi e le leggi internazionali. Il numero dei difensori dei diritti umani che si impegnano nel boicottaggio e disinvestimento è in aumento; è solo questione di tempo perché il numero di coloro che spingono per le sanzioni, e soprattutto per le sanzioni militari, cresca fino a raggiungere una massa critica.

La solidarietà con la Palestina da parte di comunità anch’esse colpite dalla militarizzazione e messa in sicurezza ha una lunga storia, soprattutto in America Latina, dove Israele ed i suoi agenti privati per decenni hanno appoggiato ed addestrato gli squadroni della morte e le dittature. La consolidata collaborazione tra i neri americani, i latini e i popoli indigeni negli USA, a fronte della militarizzazione esponenziale delle metropoli europee, significa che una vasta ed organizzata rete di attivisti ha il potenziale per svilupparsi anche in occidente. Nel caso della UE, una pressione dell’opinione pubblica potrebbe essere utilizzata per sostenere le argomentazioni tecniche per contestare il finanziamento di Horizon 2020 alle forze armate israeliane – e ad altri enti – complici dell’occupazione.

Nelle loro campagne gli attivisti dovrebbero anche evidenziare che la tecnologia militare israeliana non è né così efficace né così scevra da problemi come pretende la propaganda. I gravi problemi con la produzione di droni israeliani e le questioni relative a Iron Dome (sistema di difesa antimissile, ndt) sono solo due esempi. Ancor più convincente è il fatto che Israele sta minando la capacità dei paesi di gestire la propria difesa, sottraendo loro la capacità industriale a favore di Israele ed usando i suoi sistemi di sicurezza per fare spionaggio nei confronti dei paesi clienti, con l’effettivo risultato della perdita della loro sovranità ed indipendenza nazionale.

La Elbit Systems, grande com’è, è particolarmente vulnerabile alle azioni degli attivisti.

E’ l’unica impresa militare privata israeliana di queste dimensioni ed è perciò più vulnerabile alle crisi, ai rischi di speculazione finanziaria e alla ristrutturazione economica. La Elbit Systems è gravemente indebitata ed ha bisogno di garantirsi un continuo flusso di liquidità per onorare il debito. La sua presenza sempre più globale rende più facile agli attivisti in diversi paesi attaccare la Elbit o le sue filiali. Inoltre anche la crescente dipendenza dell’industria militare dagli aiuti del bilancio statale israeliano la rende vulnerabile, accrescendo anche la vulnerabilità dello stato.

Gli attivisti dovrebbero anche trarre lezione dall’esperienza: Israele si mette sempre in grado di trarre vantaggio quando arrivano al potere nuovi governi o si implementano nuove politiche nazionali. Anche gli attivisti dovrebbero mettersi in grado di sviluppare programmi adeguati alla situazione del momento per affrontare i cambiamenti di governo. E’ la chiave per garantirsi, dove possibile, impegni o leggi da parte di governi amici contro il commercio militare con Israele o per trarre vantaggio da circostanze in cui governi ostili applicano politiche contrarie agli interessi di Israele. Fare leva sulle dinamiche interne in tali circostanze è un fattore essenziale di successo.

Se si vogliono attuare sanzioni militari contro Israele, la società civile palestinese e gli attivisti dovranno lavorare sodo per fare pressione sull’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) e sull’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) perché usino i loro contatti diplomatici e qualunque potere di persuasione di cui dispongano sia nei confronti di singoli stati che delle Nazioni Unite. In particolare, dovrebbero assicurarsi che OLP/ANP usino ogni mezzo possibile per impedire e contrastare il commercio di armi tra gli stati del Golfo ed Israele.

Non c’è modo di prevedere quando il vento cambierà. Ma le lotte popolari contro la repressione, la guerra e l’apartheid, rafforzate da una crescente percezione negativa del complesso industriale militare israeliano, potrebbero colpire al cuore un’industria che da un lato sostiene l’aggressione israeliana e dall’altro prospera grazie ad essa. Il mito della tecnologia militare israeliana si sta lentamente sgretolando e un’industria militare israeliana più privatizzata è altrettanto esposta ai rischi del mercato globale quanto lo sono altre imprese. L’appello per sanzioni militari può iniziare a far presa anche prima che i governi siano pronti ad attuare un embargo a pieno titolo.

Fonte: Ma'an News Agency

Traduzione a cura di BDS Italia