Dopo più di un mese di bombardamenti da parte dello Stato israeliano, circa 2.000 palestinesi sono morti – la stragrande maggioranza dei quali civili. Questi includono 408 bambini, secondo gli ultimi calcoli delle Nazioni Unite, cifra che è quasi sicuramente destinata a salire mentre i sopravvissuti setacciano le macerie. 67 sono i morti da parte israeliana - tutti, soldati dell’IDF a parte 3. Ancora una volta, gli abitanti di Gaza hanno visto le loro case e le loro città ridotte in macerie. Intere famiglie sono state spazzate via. Si tratta del terzo attacco da parte di Israele su Gaza, dopo aver ritirato ufficialmente le sue forze dalla Striscia nel 2005 (pur mantenendo il controllo dei confini, dello spazio aereo e marittimo, tanto che l'ONU riconosce ancora Gaza come territorio occupato). Nel 2008-2009, l'Operazione Piombo Fuso uccise 1.400 palestinesi, ferendone 5.000. Nel 2012, l'Operazione Pilastro di Difesa uccise 103 civili palestinesi e ne ferì 1.399. Questi eventi si verificano sullo sfondo di decenni di illegale occupazione e colonizzazione israeliane. E’ a causa di questo contesto, crediamo, che rende così in malafede accusare i critici Israele di “prenderlo di mira in maniera esclusiva”. Come molti hanno persuasivamente sostenuto nel corso delle ultime settimane, è Israele che si mette su un piano di attenzione esclusiva [1]: attraverso le sue pretese di impeccabilità morale, attraverso il suo Stato celebrato come una democrazia, attraverso il suo sostegno massiccio ricevuto dagli Stati Uniti e da altre nazioni, e attraverso il suo continuo abuso del retaggio dell'Olocausto, al fine di sviare le critiche e di screditare la lotta palestinese.  

Per negare la realtà di questi fatti, l’urgenza di riconoscere come stanno le cose in maniera complete, e quindi di agire in base ad esse, ci vuole una certa confusione, distorsione e mistificazione sistematica. In una situazione tale, noi crediamo che gli accademici – in particolare coloro la cui specializzazione sia in materie politiche ed etiche – abbiano la responsabilità sia di portare chiarezza nel dibattito, sia opporsi alla negazione e all’occultamento dei fatti. Forse, come al solito, i filosofi hanno tardato a parlare contro l'ultimo attacco alla popolazione civile di Gaza - e quando hanno parlato, il loro ruolo ha troppo spesso generato altra confusione, più scusanti per la violenza di Israele, o una distrazione inutile dalla realtà degli avvenimenti in corso (anche se sentiamo che questo sta cominciando a cambiare). [2] Noi crediamo che qualsiasi contributo su questo tema debba resistere alla caratteristica astrazione filosofica, e assumere la forma di interventi chiari e concreti. Con questo in mente, vogliamo aggiungere la nostra voce a coloro che, su richiesta dei palestinesi, [3] hanno chiesto

un immediato boicottaggio di Israele: economico, culturale ed accademico.

Come accademici, noi sosteniamo nello specifico il boicottaggio accademico, attraverso cui intendiamo rifiutare, in base ai nostri principi, di essere associati con le istituzioni accademiche israeliane che non hanno condannato esplicitamente l’occupazione. L’urgenza di questo provvedimento è sottolineata dal fatto che, fino ad ora, non una singola istituzione accademica israeliana abbia pronunciato una simile condanna, e anzi molte abbiano palesato il proprio chiaro sostegno alle recenti azioni dello Stato israeliano – a testimonianza di quanto detto, l’Università di Tel Aviv ha recentemente offerto un anno di retta universitaria gratuita agli studenti riservisti durante l’attacco a Gaza, mentre ha minacciato provvedimenti disciplinari contro gli studenti che hanno criticato sui social media le forza israeliane. [4]

Alcuni sostengono che il boicottaggio culturale ed accademico, in particolare, punisce ingiustamente, stigmatizza e aliena artisti innocenti, artisti e studiosi che non hanno nulla a che fare con le azioni dello Stato di Israele. Tuttavia, dal momento che il boicottaggio accademico è diretto alle istituzioni, e non agli individui, non costituisce alcun divieto alla comunicazione, associazione e collaborazione con gli studiosi israeliani. In pratica, la partecipazione al boicottaggio significa non interagire con le istituzioni israeliane; non impegnarsi in progetti congiunti con le istituzioni israeliane; e non accettare finanziamenti da Israele o da istituzioni israeliane per qualsiasi attività accademica. Nessuna di queste misure sono una violazione della libertà accademica, né sono una proibizione al dialogo e alla discussione. Altri sono preoccupati che la coerenza (quella più cara delle virtù filosofiche) chiederebbe un boicottaggio di molte, molte altre istituzioni con collegamenti a regimi e ad attività ingiuste e illegali. Oltre sorvolare sui diversi motivi per cui Israele è un caso peculiare, questa obiezione implica anche una fondamentale incomprensione di ciò che un boicottaggio è. Un boicottaggio non è un tentativo di mantenere le “mani pulite,” una sorta di consumismo etico con qualche funzione in più. Piuttosto, si tratta di un atto di protesta volto a de-normalizzare e de-legittimare uno status quo ingiusto che resiste a tutti gli altri mezzi che tentano di effettuare un cambiamento. Un boicottaggio accademico ben pubblicizzato è la tipologia di azione che noi, come accademici, siamo meglio posizionati ad intraprendere in risposta alle atrocità che si verificano a Gaza.

Sabato 9 Agosto, più di 150.000 persone sono scese in strada a Londra, così come hanno fatto settimana scorsa e la settimana prima, per protestare contro le azioni di Israele e il supporto dato a quest’ultimo dal governo inglese. Ci sono state proteste simili in tutto il mondo, [5] inclusa una manifestazione di un migliaio di persone a Tel Aviv, ad un mese circa dall’inizio dell’assalto. [6] Ma le manifestazioni sole non sono abbastanza. Ci sono state manifestazioni l’ultima volta che Israele ha attaccato Gaza, e ci sono state manifestazione anche la volta prima, e la volta prima ancora. Nelle ultime settimane, parecchi artisti, attori, musicisti famosi hanno dato il loro appoggio al boicottaggio e parlato pubblicamente contro la violenza e contro l’occupazione. Ed hanno affrontato gli inevitabili attacchi che questo comporta. Noi crediamo che I filosofi accademici e i teorici politici – il cui lavoro è pensare alle politiche – abbiano una responsabilità particolare e debbano prendere la medesima posizione, ed affrontarne le conseguenze.

Ripetiamo che, chiedendo il boicottaggio, noi chiediamo di agire contro le violenti, discriminatorie ed espansioniste politiche dello Stato di Israele; azione che crediamo sia necessaria per esercitare quella pressione che ci vuole che porre fine alle uccisione, alle espropriazioni e alla sofferenza del popolo palestinese. Durante il recente centenario della Prima Guerra Mondiale, abbiamo sentito molte cose riguardo la memoria, e molto spesso abbiamo sentiti ripetere “dimentichiamo per timore”. Nel caso della Palestina, tuttavia, viene fortemente consigliato dimenticare. La conclusione finale di questa sessione di “taglio del praticello” (un agghiacciante modo di dire per descrivere l'uccisione di massa di civili), sarà troppo facilmente sequestrato dai media e dai politici come una scusa per dirottare la loro attenzione - e la nostra - altrove. Invece di dimenticare (fino alla prossima strage), riteniamo che sia giunto il momento di intensificare il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni, in modo che quello che è successo a Luglio (e nel 2012, e nel 2008-2009, e nel 1967, etc.) possa mai più accadere.

 

Qui l'elenco completo dei firmatari

 

 

Note: 

[1] http://www.redpepper.org.uk/Singling-out-Israel/

[2] http://leiterreports.typepad.com/blog/2014/08/an-open-letter-on-israel-and-gaza-from-notre-dame-philosophy-curtis-franks.htmlhttp://crookedtimber.org/2014/07/27/a-gaza-breviary/

[3] http://www.bdsmovement.net/call

[4] http://electronicintifada.net/blogs/ali-abunimah/israeli-universities-lend-support-gaza-massacre

[5] http://mondoweiss.net/2014/07/worldwide-protest-israeli.html

[6] http://www.theguardian.com/world/2014/aug/06/gaza-israel-movement-that-dare-not-speak-its-name 

 

 

 

 

 

 

Fonte: pacbi.org

Traduzione: BDS Italia