Per la maggior parte degli israeliani, il boicottaggio culturale del paese si fa sentire soprattutto quando un cantante famoso o una star del cinema decide di non esibirsi o di non partecipare ad un festival del cinema in Israele. Ma il boicottaggio, che è in vigore ufficialmente dal 2005 come parte della più ampia campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni, esiste anche nel campo dell'arte ed artisti ed istituzioni artistiche israeliane ne sono fortemente colpiti. E' praticato apertamente e segretamente, ufficialmente e ufficiosamente, da una serie di gruppi all'interno del mondo dell'arte.

Il boicottaggio include il rifiuto di artisti arabi e palestinesi a partecipare a mostre all'estero che comprendono opere di artisti israeliani e il rifiuto di artisti stranieri ad esporre il loro lavoro in Israele. Lo scopo del boicottaggio è quello di aumentare la consapevolezza circa l'occupazione israeliana e le violazioni dei diritti umani da parte di Israele.

Si è tenuto presso la Leyvik House a Tel Aviv un convegno dal titolo “Dalut Hacherem: il boicottaggio culturale di Israele e che cosa significa per l'arte contemporanea israeliana”, organizzato da sette curatori che lavorano in Israele. Gli organizzatori - Chen Tamir, Leah Abir, Hila Cohen-Schneiderman, Joshua Simon, Omer Krieger, Udi Edelman e Avi Lubin- hanno discusso le manifestazioni del boicottaggio culturale in relazione alla scena artistica contemporanea di Israele.

In una relazione che riassume uno studio del problema, studio condotto per un anno, Tamir osserva che la Campagna Palestinese per il boicottaggio accademico e culturale di Israele, l'organizzazione principale che sta dietro alla mobilitazione, si concentra principalmente su artisti, curatori ed istituzioni all'estero che hanno legami con il Ministero degli Esteri e altri organismi ufficiali, piuttosto che su ciò che accade all'interno di Israele. PACBI, come l'organizzazione si chiama, "riconosce che gli artisti israeliani, ebrei e arabi allo stesso modo, sono autorizzati a ricevere finanziamenti dal Ministero della Cultura e dello Sport, allo stesso modo in cui sono autorizzati a ricevere l'acqua se pagano le tasse", afferma Tamir, aggiungendo "Loro non vogliono fare i promoter di Israele. Ecco perché il boicottaggio è diretto verso l'esterno e cerca di coinvolgere attori esterni per fare pressione su Israele".

Tamir, che è nato in Israele e cresciuto in Canada, ha conseguito un Master in Curatorial Studies presso il Centro per i Curatorial Studies, al Bard College, un B.F.A. in Visual Art e una laurea in Antropologia presso la York University di Toronto. Ha fatto ritorno in Israele due anni e mezzo fa ed è il curatore del Centro per l'Arte Contemporanea di Tel Aviv. Lavora anche con Artis, un'organizzazione no-profit con sede a New York che sostiene e promuove gli artisti israeliani a livello internazionale. Tamir sostiene che quando incontra all'estero persone che operano nel suo campo, quello artistico, la questione del boicottaggio culturale contro Israele si pone sempre.

Il report di Tamir è stato stilato originariamente come documento interno per Artis e solo in un secondo momento si è deciso di organizzare una conferenza intorno ai problemi che il documento solleva.

"Molte persone nel campo dell'arte mi hanno chiesto in proposito, così mi sono reso conto che la gente ha bisogno di sapere di più sulla questione. Questo è anche lo scopo della conferenza, perché il boicottaggio è qualcosa che colpisce molto il mondo dell'arte, ma non ha molta visibilità ", afferma Tamir.

Questa mancanza di visibilità deriva in parte dal fatto che gli artisti che scelgono di non collaborare con Israele non sempre lo ammettono apertamente. A volte semplicemente non riescono a rispondere alle e-mail o a citare altre motivazioni per non esporre il loro lavoro in Israele. Il fatto è che non c'è una protesta attiva in questi casi, sostiene Tamir. "E' molto difficile da concretizzare, perché in realtà è l'assenza di qualcosa." Per lo stesso motivo è difficile determinare quanti artisti israeliani non sono stati invitati ad eventi all'estero come risultato del boicottaggio.

Ma per alcuni eventi culturali all'estero l'impatto del boicottaggio è tangibile. E' stato il caso  della Biennale di San Paolo del 2014. "E' stato subito dopo la guerra di Gaza in estate. Le relazioni tra Israele e Brasile erano tese", spiega Tamir. "La Biennale è uno dei più grandi eventi d'arte al mondo e lo scorso anno è stata curata da un gruppo che comprendeva due curatori israeliani, Galit Eilat e Oren Sagiv. La Biennale ha richiesto il sostegno dell'Ambasciata di Israele in Brasile, insieme a tutte le altre ambasciate dei paesi partecipanti, e Israele ha dato il denaro. Pochi giorni prima dell'apertura, sono state sollevate obiezioni ed è stato raggiunto un compromesso, secondo il quale il denaro versato dal Ministero degli Esteri israeliano sarebbe stato utilizzato solo dagli artisti israeliani che avrebbero partecipato alla Biennale. In questo modo gli artisti stranieri avrebbero mostrato di non essere beneficiari di denaro proveniente da Israele, dice Tamir.

Un altro esempio di boicottaggio culturale durante l'operazione Margine Protettivo è stata la cancellazione della partecipazione di Belu-Simion Fainaru alla Biennale Internazionale di Canakkale, in Turchia. In una lettera allo scultore israeliano il direttore artistico della biennale, Beral Madra, ha spiegato che, data la situazione culturale-politico-sociale in Turchia, la presenza di Fainaru o l'esposizione del suo lavoro durante l'evento sarebbe risultata inopportuna. Ha notato che, anche se il messaggio era di pace, il lavoro dell'artista israeliano recava un riferimento al Muro del Pianto a Gerusalemme e gli organizzatori di questa biennale erano determinati ad evitare l'inserimento di un'opera che contenesse  qualsiasi simbolismo nazionale o religioso.

Noam Segal, che negli ultimi anni ha curato una serie di mostre che hanno incluso artisti provenienti dall'estero, riferisce che il rifiuto di esibire le proprie opere in Israele può assumere molte forme. "Volevo invitare Laure Provost, vincitrice del Premio Turner nel 2013, a partecipare ad una mostra a cui stavo lavorando, ma lei è tra i firmatari del boicottaggio e non sarebbe venuta. Idem per Mark Leckey, anche se si è espresso in  modo diverso. Altri artisti non hanno ufficialmente firmato per il boicottaggio, ma non  hanno risposto all'invito ed è stato chiaro che non volevano venire. A settembre è stata inaugurata a Los Angeles una mostra di cui sono stato il curatore e la cui maggioranza degli artisti esponenti erano israeliani. Ci sono stati alcuni giornalisti che mi hanno scritto per informarmi che, sebbene impressionati positivamente dalla mostra, a causa della situazione attuale, avrebbero preferito non scrivere recensioni di eventi identificabili con Israele”.

Uno degli obiettivi della Conferenza di Tel Aviv è stato quello di accrescere la consapevolezza circa l'esistenza del boicottaggio. "E' un argomento molto delicato, che accende gli animi della gente, nel bene e nel male", dice Tamir. "All'interno del nostro gruppo, alcune persone sostengono il boicottaggio ed alcuni vi si oppongono. Ci sono coloro che sono consapevoli della contraddizione, dal momento che è difficile boicottare se stessi. Ci chiediamo come sia possibile lavorare nel campo di un'arte, che aspira ad  essere internazionale e allo stesso tempo affronta un boicottaggio dall'estero".

Tamir traccia una linea di connessione tra il boicottaggio e le minacce alla libertà di espressione in Israele. "Israele è già una sorta di isola. D'altra parte in Israele c'è una  crescente ostilità nei confronti della libertà di espressione. Ciò che la guerra in estate ci ha mostrato è stato spaventoso. Il boicottaggio è una forma di libertà di espressione. Che si sia d'accordo o no con il boicottaggio, le persone hanno il diritto di praticarlo e sostenerlo. Discutere se sia giustificabile o meno è una questione diversa, ma, anche se le persone hanno opinioni controverse al riguardo, devono avere il diritto di esprimerle.

“It’s very difficult for someone who supports both freedom of expression and freedom of action. There’s a contradiction. That’s the main issue of the boycott. If we remain completely alone here, with only our own voices and no international artist agrees to exhibit here, what would that tell us?

“E' molto difficile per chi supporta tanto la libertà di espressione quanto la libertà di agire. C'è una contraddizione. Questo è il problema principale del boicottaggio. Se rimanessimo completamente soli qui in Israele, con solo le nostre voci e nessun artista internazionale che accetta di esporre qui, che cosa ci direbbe tutto questo?

Uno dei relatori del convegno, Hila Cohen-Schneiderman, curatrice del Petah Tikva Museum of Art ma che lavora anche in modo indipendente, prevede di offrire una proposta che lei chiama "utopica." Cohen-Schneiderman sostiene che Israele sia già privo di collegamenti con il mondo arabo, poiché preferisce pensare di appartenere all' Europa o agli Stati Uniti e il boicottaggio da parte del mondo arabo rafforza questa tendenza. La curatrice propone invece che "se gli artisti arabi venissero qui ad esporre e farci vedere il posto a cui apparteniamo, sarebbe molto più efficace". Con questo spirito Cohen-Schneiderman avrebbe voluti includere in una prossima mostra un brano di Rabia Mroue, un artista libanese, sulla guerra civile in Siria.

“Gli ho chiesto il permesso di mostrare il suo lavoro e non ho mai ricevuto una risposta. Alla fine sono arrivata a capire in modo indiretto che la risposta era negativa. Ritengo che vedere ciò che sta accadendo in Siria sia vitale per il pubblico israeliano. Se un artista come James Turrell boicottasse Israele, ma un artista come Rabia Mroue dovesse mostrare i suoi lavori qui, la seconda eventualità gioverebbe molto di più della prima"

Udi Edelman, curatore presso il Centro israeliano per la Digital Art e curatore indipendente, tra gli organizzatori della conferenza, sostiene che trova difficile entrambe le opzioni, sia  sostenere  completamente l'idea del boicottaggio che respingerla del tutto.

"Andare fino in fondo con il boicottaggio significa decidere di non invitare più artisti internazionali, ma questo è un' idea molto difficile e non è necessariamente la decisione giusta. D'altra parte sarebbe interessante avere artisti internazionali che considerano queste domande più profondamente. Se scelgono il boicottaggio, dovrebbero farlo apertamente oppure approfondire le questioni della nostra esistenza qui".

Fonte: Haaretz

Traduzione di BDS Firenze