LIBERTÀ. GIUSTIZIA. UGUAGLIANZA.

Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni per i diritti del popolo palestinese.

Notizie BDS

Notizie internazionali del movimento globale BDS.

Il ritiro del colosso tecnologico è un altro forte indicatore del drammatico calo di fiducia nell’economia israeliana.

Samsung Next, il braccio innovativo del gigante tecnologico coreano Samsung, sta chiudendo le sue attività a Tel Aviv, un altro forte indicatore del drammatico calo di fiducia nell’economia israeliana.

Ritirandosi da Israele, Samsung Next, che fino ad oggi aveva investito in circa 70 start-up israeliane, è l’ultimo fondo a disinvestire dal settore hi-tech israeliano, un tempo fiorente, che rappresenta oltre il 50% delle esportazioni. Molte aziende tecnologiche statunitensi e israeliane si sono già ritirate. Nel 2023, gli investimenti nelle aziende tecnologiche israeliane sono crollati del 56% rispetto al 2022

Il ritiro delle imprese da Israele riflette la crescente consapevolezza da parte delle aziende globali di due rischi principali:

(a) La sentenza della Corte Internazionale di Giustizia secondo cui Israele sta plausibilmente commettendo un genocidio contro 2,3 milioni di palestinesi a Gaza pone un serio rischio di responsabilità legale per complicità.
(b) L'economia israeliana è in chiaro e costante declino, come ha dovuto infine ammettere anche Moody's, a causa dei problemi strutturali neoliberisti, delle riforme giudiziarie avviate dal governo di estrema destra e del crescente impatto del BDS. 

Già nel luglio 2023, il leader dell’opposizione israeliana Yair Lapid scriveva: “Israele non è più la nazione delle start-up. È una nazione in crisi. È una crisi politica, sociale e internazionale, ma i suoi effetti saranno economici. … Alcuni dei danni [economici] causati di recente richiederanno anni per essere riparati". Ma dall’inizio del genocidio di Gaza in Israele, limpatto del BDS è cresciuto drasticamente, quasi in proporzione all’aumento della ferocia e della depravazione della “fabbrica di assassinio di massa” di palestinesi da parte di Israele e del suo uso della fame come arma di guerra. Molte aziende del settore hi-tech israeliano, in particolare nel campo della sicurezza informatica, sono “nate dall’esercito”. I finanziamenti per il settore della sicurezza informatica israeliana nel 2023 hanno toccato il minimo degli ultimi 5 anni , probabilmente a causa di un’emergente perdita di fiducia nelle capacità di Israele riguardo alla sicurezza, un tempo invidiate.

Investire nel regime coloniale di insediamento e apartheid di Israele, in vigore da 76 anni, è sempre stato immorale e verosimilmente illegale. Ora è anche finanziariamente irresponsabile.

#ShutDownNation

Fonte: Comitato nazionale palestinese per il BDS (BNC)

Traduzione di BDS Italia

Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione europea

Valdis Dombrovskis, Vicepresidente esecutivo della Commissione europea

Charles Michel, Presidente del Consiglio europeo

Roberta Metsola, Presidente del Parlamento europeo

Alessandro De Croo, Primo ministro del Belgio, Presidenza del Consiglio dell'Unione Europea

Josep Borrell, Alto rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza

Primi ministri di tutti gli Stati membri dell’UE

Jonas Gahr Store, Primo ministro della Norvegia

Gentili signore/signori,

Noi, sindacati europei firmatari, chiediamo all’UE e ai paesi europei di sospendere l’accordo di associazione con Israele nonché i trattati bilaterali alla luce delle gravi violazioni dei diritti umani da parte del Governo israeliano, in violazione dell’articolo 2 dell’UE – Accordo di associazione con Israele.

Il conflitto a Gaza e le gravi restrizioni aggiuntive imposte dal Governo israeliano in Cisgiordania hanno avuto un impatto devastante sui lavoratori palestinesi e su coloro che sostengono. L'ILO ha riferito a dicembre che dal 7 ottobre sono andati perduti il 66% dei posti di lavoro a Gaza e il 32% in Cisgiordania.

Venerdì 26 gennaio 2024, la Corte internazionale di giustizia (CIG) ha ritenuto plausibile che gli atti commessi da Israele possano equivalere a un genocidio contro 2,3 milioni di palestinesi nella Striscia di Gaza occupata e assediata. L’CIG ha inoltre emesso sei misure provvisorie, ordinando a Israele di prevenire atti di genocidio a Gaza.

Quando la sentenza della Corte internazionale di giustizia è stata emessa, diversi paesi europei hanno deciso di sospendere i finanziamenti all'UNRWA, a seguito di accuse non ancora provate, complicando ulteriormente la fornitura di aiuti umanitari alla popolazione di Gaza. Chiediamo che questi aiuti vengano ripristinati, per evitare ulteriori morti a causa della mancanza di risorse per l'assistenza alla popolazione civile.

Da quando i giudici hanno emesso la loro sentenza, la situazione è ulteriormente peggiorata. Oltre 30.000 palestinesi sono morti, 1,7 milioni di persone sono sfollate, il 93% si trova ad affrontare livelli critici di carenza alimentare. La devastazione è innegabile. La sentenza della Corte internazionale di giustizia ha implicazioni più ampie per tutti gli stati, poiché tutti sono obbligati sia ad astenersi dal commettere un genocidio, sia a prevenirlo e punirlo ovunque si verifichi. Ricordiamo a tutti gli stati parti della Convenzione che hanno l'obbligo legale di garantire l'attuazione delle "misure provvisorie", di prevenire il genocidio e di garantire che non siano complici del genocidio.

Nel febbraio 2023 Irlanda e Spagna hanno chiesto una “revisione urgente” dell’accordo di associazione UE-Israele – e un intervento nel caso in cui si scoprisse che Israele ha violato i suoi obblighi di “rispetto dei diritti umani e dei principi democratici” che “costituiscono la base stessa dell’accordo di associazione".

Le mutilazioni e l’uccisione di decine di migliaia di civili, la morte per fame della popolazione deliberatamente provocata e la distruzione di tutti i mezzi di sopravvivenza suggeriscono infatti che Israele non stia rigorosamente rispettando i diritti umani e le norme democratiche a Gaza.

L’UE è il principale partner commerciale di Israele, con un volume di scambi pari a oltre 46 miliardi di Euro nel 2023. Il commercio è regolato dall’accordo di associazione UE-Israele, che include una clausola sui diritti umani sugli “elementi essenziali”. “Ciò significa che entrambe le parti possono sospendere unilateralmente l’accordo in risposta a gravi violazioni dei diritti umani.

Israele partecipa anche a Horizon Europa, il programma di ricerca e innovazione da 95 miliardi di Euro nell’ambito del quale le istituzioni israeliane possono richiedere finanziamenti. Anche l’accesso a questo redditizio programma dovrebbe essere immediatamente sospeso fino a quando Israele non garantirà il rispetto dei suoi obblighi ai sensi del diritto internazionale.

Il 23 febbraio un gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha lanciato un appello urgente per fermare immediatamente l'esportazione di armi verso Israele. Inoltre, il 12 febbraio 2024 la corte d’appello olandese ha ordinato ai Paesi Bassi di sospendere l’esportazione di parti di aerei da caccia F-35 verso Israele. La corte ha ritenuto che esistesse un “chiaro rischio” che le parti venissero utilizzate per commettere o agevolare gravi violazioni del diritto internazionale umanitario, poiché “ci sono molte indicazioni che Israele ha violato il diritto umanitario di guerra in un numero non trascurabile di casi”.

Sosteniamo queste dichiarazioni e invitiamo l’UE e i Paesi europei a imporre un embargo militare e a fermare il trasferimento di armi attraverso i loro paesi, come richiesto dai sindacati palestinesi.

PDF

Cordiali saluti,

Rete sindacale europea per la giustizia in Palestina

Co-firmato da:

ACV-CSC (Belgio)
Pancyprian Federation of Labour PEO (Cipro)
Union Syndicale Solidaires (Francia)
Irish Congress of Trade Unions (Irlanda)
La Centrale Générale-FGTB (Belgio)
Métallos-FGTB (Belgio)
CNE-CSC (Belgio)
ACV Puls (Belgio)
CGSP-ALR Bruxelles / ACOD-LRB Brussel (Belgio)
CGT-FNSCBA (Francia)
CGT-FDSP (Francia)
Fédération Syndicale Unitaire (Francia)
Fórsa (Irlanda)
Communication Workers Union (Irlanda)
Irish National Teachers Organisation (Irlanda)
Teachers’ Union of Ireland (Irlanda)
Mandate Trade Union (Irlanda)
UNISON (Irlanda del Nord)
NIPSA (Irlanda del Nord)
Fagforbundet (Norvegia)
Industri Energi (Norvegia)

CGT - Confederación General del Trabajo (Spagna)
ELA (Paese Basco)
Solidaritat Obrera (Catalogna)
IAC-Intersindical alternativa de Catalunya (Catalogna)
Confederación Intersindical Galega (CIG) (Galicia)
Intersindical Valenciana (Paese Valenciano)
SAT-PDI-US (Spagna)
Craigavon Trades Council (Irlanda)
Dundee Trades Union Council (Scozia)
Cork Council of Trade Unions (Irlanda)
NUJ Dundee Branch (Scozia)
Unite Retired Members Branch Dundee (Scozia/RU)
Dublin Council of Trade Unions (Irlanda)
Federation CGT des Services Publics (Francia)
CGT FDSP (Francia)
Syndicat CGT retraités de Morsang sur Orge UCR CGT (Francia)
Comité des syndicats CGT ville de Paris (Francia)
CGT Territoriaux Strasbourg Eurométropole (Francia)
CGT Territoriaux de Saint-Nazaire (Francia)
Coordination Syndicale Départementale CGT des Services Publics de Seine Maritime (Francia)
Section retraités service public ville de Tarbes et TLP (Francia)
UFICT CGT TX IVRY (Francia)

Fonte: European Trade Unions

Traduzione di BDS Italia

Dall’inizio della guerra genocida di Israele contro 2,3 milioni di palestinesi nella Striscia di Gaza occupata e assediata, l’impatto del movimento BDS è cresciuto notevolmente e ha iniziato a influenzare alcuni stati.

INTRODUZIONE: 

Negli ultimi 18 anni, il movimento BDS ha costruito un’enorme rete in tutto il mondo, sostenuta da sindacati, associazioni di agricoltori , movimenti per la giustizia razziale, sociale, di genere e climatica, che insieme rappresentano decine di milioni di persone. Ha avuto un grande impatto sull’isolamento del regime israeliano di apartheid, anche facendo sì che grandi multinazionali, come G4S, Veolia, Orange, HP, PUMA e altre, mettessero fine totalmente o parzialmente alla loro complicità con i suoi crimini contro i palestinesi indigeni. 

Dall’inizio della guerra genocida di Israele contro 2,3 milioni di palestinesi nella Striscia di Gaza occupata e assediata, l’impatto del movimento BDS è cresciuto notevolmente e ha iniziato a influenzare alcuni stati. Il movimento, con i suoi numerosi partner, ha intensificato la pressione sui politici affinché pongano fine alla complicità di stati e aziende con i crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio di Israele, attraverso la diffusione della sua analisi ormai ampiamente accettata di Israele come stato di apartheid e la richiesta di sanzioni mirate e legali, in particolare un embargo globale e bilaterale sulle armi, come adempimento degli obblighi giuridici previsti dal diritto internazionale.

Questo impatto è stato rafforzato dal caso sudafricano presso la Corte internazionale di giustizia (CIG) che accusa Israele di genocidio e dalla successiva sentenza della CIG del 26 gennaio 2024 secondo cui Israele sta plausibilmente perpetrando un genocidio a Gaza.

Il 23 febbraio, gli esperti dei diritti umani delle Nazioni Unite hanno rilasciato una dichiarazione clamorosa che fa riferimento al rischio di genocidio invitando tutti gli stati a rispettare i loro obblighi legali bloccando “immediatamente” tutte le “esportazioni di armi verso Israele” e imponendo “sanzioni su commercio, finanza, viaggi, tecnologia o cooperazione." Ciò ha fatto eco alle richieste che il movimento BDS diffonde e per le quali sta costruendo un sostegno di massa da molti anni.

Sebbene nella maggior parte degli sviluppi riportati di seguito ci siano stati altri fattori influenti, ovviamente il BDS ha svolto un ruolo inequivocabile, anche se a volte indiretto, nella loro realizzazione.

INDICATORI DI IMPATTO (un campione rappresentativo di molti sviluppi simili):

(1) Governi nazionali e locali:

  • La Bolivia ha sospeso le relazioni diplomatiche con Israele, mentre Cile, Colombia, Ciad, Honduras, Turchia e Giordania, tra gli altri, hanno ridimensionato le relazioni con Israele. 
  • L'Unione Africana ha di fatto sospeso lo status di osservatore di Israele.
  • Il 29 febbraio il presidente colombiano Gustavo Petro ha annunciato la sospensione totale degli acquisti di armi da Israele.
  • Il governo regionale belga della Vallonia ha sospeso due licenze di esportazione di armi verso Israele. I vice primi ministri di Belgio e Spagna hanno chiesto di “sospendere il trattato di associazione dell’UE con Israele, imponendo un embargo generale sulle armi o addirittura imponendo sanzioni nell’ambito del regime globale di sanzioni sui diritti umani dell’UE”.
  • Il Cile ha bandito le aziende israeliane dalla sua fiera delle armi, e le aziende israeliane erano assenti anche alla fiera delle armi della Colombia.
  • Il 29 febbraio, il Partito socialista operaio spagnolo, il principale partito al potere in Spagna, ha votato in parlamento, insieme ad altri partiti, a favore dell'immediata sospensione del commercio di armi della Spagna con Israele. Il 13 marzo la commissione affari esteri del parlamento spagnolo ha votato a favore della sospensione del commercio di armi con Israele. 
  • Il fondo sovrano norvegese, il più grande al mondo, ha recentemente annunciato che entro novembre 2023 ha interamente disinvestito quasi mezzo miliardo di dollari in obbligazioni israeliane. Le obbligazioni israeliane sono uno dei principali obiettivi del movimento BDS da ottobre 2023. La più grande federazione sindacale, LO, con un milione di membri, ha svolto un ruolo significativo in questo.
  • Diversi fondi pensione danesi hanno escluso e disinvestito da società israeliane, comprese banche, coinvolte nelle colonie illegali israeliane. 
  • Il governo norvegese ha consigliato alle aziende norvegesi di “non impegnarsi in cooperazioni commerciali o scambi commerciali che servano a perpetuare le colonie illegali israeliane”.
  • Il 3 gennaio 2024, la commissione per i diritti umani del Senato cileno ha approvato un disegno di legge che vieta il commercio con gli insediamenti israeliani.
  • Il governo malese ha bandito tutte le navi di proprietà israeliana, in particolare quelle della compagnia di navigazione israeliana Zim, in risposta alle violazioni del diritto internazionale da parte di Israele, una decisione sostenuta dagli sforzi persistenti di BDS Malesia.
  • Il Parlamento canadese ha votato per porre fine alle esportazioni di armi verso Israele il 18 marzo 2024, mentre oltre 130 parlamentari britannici hanno chiesto di vietare tutte le vendite di armi a Israele. 
  • La città di Barcellona (Catalogna) ha compiuto un passo storico tagliando tutti i legami con Israele a causa del suo sistema di apartheid e dei crimini di guerra commessi contro i palestinesi a Gaza, creando un precedente in Europa. Ciò ha fatto seguito a una campagna condotta dai partner BDS in Catalogna.
  • Il governo giordano ha annunciato il rifiuto di un accordo “elettricità in cambio di acqua” con Israele, a seguito della significativa pressione pubblica guidata da BDS Giordania.
  • Il consiglio regionale neozelandese per l’ambiente di Canterbury (ECan) ha votato per non collaborare con le aziende che fanno affari con le colonie illegali israeliane nei territori occupati.
  • Nonostante la parte preponderante della propaganda israeliana che giustifica il genocidio nei principali media statunitensi, la maggioranza degli elettori statunitensi ora sostiene l’interruzione o il condizionamento dei finanziamenti militari e delle spedizioni di armi a Israele.
  • In Turchia, le città di Adana e Antalya hanno cancellato i protocolli delle loro città gemellate con le controparti israeliane, rispettivamente Beersheba e Bat-Yam. Ciò ha fatto seguito a un’intensa campagna di BDS Turchia.
  • Il 29 novembre 2023, il consiglio comunale di Ghent (Belgio) ha annunciato che non acquisterà da società che traggono profitto dal sistema israeliano di occupazione e oppressione dei palestinesi nei territori occupati. 
  • Il 10 gennaio, la città di Derry e il consiglio distrettuale di Strabane (Irlanda del Nord) hanno annunciato l'intenzione di adottare una politica di misure etiche sugli appalti pubblici.
  • Il 25 gennaio, il più grande partito irlandese, lo Sinn Fein, ha annunciato che sta lavorando nei consigli comunali di tutta l'Irlanda per attuare misure etiche sugli appalti pubblici.
  • Il 25 gennaio 2024 la città di Hayward, California (Stati Uniti) ha votato per il disinvestimento da quattro società complici delle violazioni israeliane dei diritti umani e del diritto internazionale.
  • Più di 120 consigli comunali negli Stati Uniti hanno approvato risoluzioni che chiedono un cessate il fuoco. 

(2) Aziende:

  • Nel marzo 2024, a seguito delle pressioni di BDS Giappone e dei suoi alleati che si riferivano alla sentenza della Corte internazionale di giustizia secondo cui Israele sta plausibilmente commettendo un genocidio, due importanti aziende giapponesi, Nippon Aircraft Supply e Itochu Corporation, hanno interrotto i rapporti con il più grande produttore privato di armi israeliano, Elbit Systems.
  • Elbit Systems, il più grande fabbricante privato di armi israeliano e fattore chiave del genocidio in corso, ha espresso preoccupazione per l'impatto delle campagne BDS contro di esso, nonostante l'aumento delle sue vendite di armi “testate sul campo”. La paura della Elbit nei confronti del BDS può essere spiegata dalla tendenza emergente ai disinvestimenti da parte di grandi banche e fondi di investimento. Il 12 febbraio 2024, ad esempio, il comitato di investimento dello Stato di Wisconsin Investment Board ha rivelato di aver venduto tutte le 8.083 azioni Elbit che possedeva nel novembre 2023. Due giorni dopo, Bank of America Corp ha rivelato di aver versato più del 50% delle sue azioni. Azioni Elbit da novembre 2023. Anche Scotiabank, il più grande investitore straniero in Elbit, ha ridotto le sue partecipazioni in azioni Elbit tra il terzo e il quarto trimestre del 2023 di circa il 16%. Continuano le campagne per spingere al disinvestimento totale. 
  • Nel marzo 2024, il gigante statunitense del fast food McDonald's è stato costretto a ritirare la sua stupida causa legale per diffamazione contro BDS Malaysia. La società ha subito perdite significative e il valore delle azioni è sceso a seguito della crescente campagna BDS globale, come ammesso dal suo management. Il boicottaggio nel mondo arabo ha avuto un ruolo importante in questa pressione.
  • L'azienda tedesca di abbigliamento sportivo Puma ha annunciato nel dicembre 2023 che non rinnoverà il contratto con la Federcalcio israeliana in scadenza alla fine del 2024, cedendo alle pressioni del BDS che sono costate caro all'azienda in termini di danni alla reputazione.
  • Carrefour, la catena di supermercati francese presa di mira dal BDS per la sua complicità nei crimini israeliani, ha chiuso quattro filiali in Giordania, a seguito di un'intensa campagna condotta da BDS Jordan. La giordana Al-Ameed Coffee Company aveva precedentemente deciso di chiudere tutte le sue filiali nei supermercati Carrefour in Giordania a causa della complicità di Carrefour nei crimini di Israele.

(3) Istituzioni (sindacali, religiose, accademiche, culturali, sportive):

  • I principali sindacati indiani che rappresentano decine di milioni di lavoratori hanno chiesto al governo indiano di annullare un accordo per “l’esportazione” di lavoratori indiani in Israele in sostituzione di quelli palestinesi, esortando i lavoratori a boicottare i prodotti israeliani e a non movimentare merci israeliane.
  • I sindacati dei lavoratori portuali in Belgio, India, Catalogna, Italia, Grecia, Turchia, California e Sud Africa hanno intrapreso azioni contro le navi israeliane o le spedizioni di armi verso Israele.
  • L’International Alliance of App-based Transport Workers - IAATW, un'alleanza internazionale guidata dai sindacati dei lavoratori dei trasporti basati su app con 100.000 membri provenienti da oltre 27 paesi e 6 continenti, ha deciso di boicottare le stazioni di servizio a marchio Chevron. 
  • La più grande e antica chiesa afro-americana, la Chiesa episcopale metodista africana , con circa 3 milioni di membri, ha accusato Israele di genocidio, invitando gli Stati Uniti a “ritirare immediatamente tutti i finanziamenti e altro sostegno a Israele”, per porre fine alla sua complicità.
  • I presidi di tutte le università palestinesi hanno chiesto di isolare le università israeliane in tutto il mondo. 
  • Cinque università norvegesi hanno sospeso gli accordi di collaborazione con università israeliane complici del genocidio israeliano a Gaza. 
  • Il consiglio della facoltà di giurisprudenza dell'Università di Anversa (Belgio) ha deciso all'unanimità di interrompere un accordo di cooperazione con l'Università Bar-Ilan a causa del suo incrollabile sostegno all'assalto militare israeliano a Gaza.
  • Il consiglio studentesco della Harvard Law School ha approvato una risoluzione che invita la Harvard Management Corporation e tutte le istituzioni e organizzazioni della comunità di Harvard a disinvestire dal regime di occupazione militare israeliano e dal genocidio in corso a Gaza.
  • Il senato accademico dell'Università di Torino (Italia) ha deciso di non partecipare a bandi di ricerca scientifica con istituzioni israeliane complici con il genocidio da parte di Israele a Gaza.
  • L'Università di Girona (Catalogna) si è impegnata a rivedere tutti gli accordi con le università israeliane. L’Università Federale del Ceará (Brasile) ha cancellato l’accordo “Innovation Challeng Brazil – Israel (Sfida dell’Innovazione Brasile – Israele)” e la facoltà di Scienze umane e sociali dell'Universidad Nacional de la Patagonia San Juan Bosco (Argentina) ha votato a sostegno dell'appello dell'Università di Birzeit che chiede di evitare le istituzioni accademiche israeliane complici.
  • L'associazione dei docenti dell'Università di Montreal, che rappresenta quasi 1400 docenti, ha votato all'unanimità per il boicottaggio delle università israeliane, diventando la PRIMA in Canada a farlo.
  • Gli studenti dell’Università della California Davis (Stati Uniti) hanno votato per disinvestire il loro budget di 20 milioni di dollari dalle aziende complici del genocidio e dell’occupazione. 
  • IlSenato della facoltà dell'Università del Michigan (Stati Uniti) ha votato a favore del disinvestimento il 30 gennaio 2024. 
  • Un centinaio di organizzazioni artistiche statunitensi, tra cui editori, gallerie, locali, riviste, librerie, collettivi, festival e agenzie, hanno appoggiato il boicottaggio culturale di Israele.
  • Il Cinema Girona ha cancellato il festival cinematografico e televisivo israeliano Seret sponsorizzato dall'ambasciata israeliana e dal Ministero della Cultura, dopo l'impegno privato di gruppi catalani.
  • Eurovision: i ministri della Cultura del Belgio hanno chiesto di bandire Israele dall'Eurovision, così come hanno fatto oltre 4000 artisti, di cui oltre 1000 in Svezia, paese ospitante. Il più grande gruppo di proiezione dell'Eurovision di Londra è tra gli eventi che saranno cancellati a causa della partecipazione di Israele. 
  • Più di 100 artisti hanno boicottato il festival South by Southwest (SXSW) in Texas (Stati Uniti) a causa della sua partnership con l'esercito americano e i produttori di armi che armano il genocidio di Israele.
  • Decine di migliaia di artisti hanno chiesto il cessate il fuoco, la giustizia e l’obbligo di rendere conto attraverso decine di lettere e iniziative, anche nel campo della musica, delle arti visive, del cinema, della letteratura e molto altro.
  • Olimpiadi: le petizioni che chiedono di bandire Israele dagli sport internazionali hanno raccolto più di 280.000 firme. Ventisei parlamentari francesi hanno chiesto al CIO di sanzionare Israele. 
  • FIFA: La federcalcio dell'Asia Occidentale ha chiesto la sospensione dell'adesione di Israele alla FIFA, e le richieste di escludere Israele dai Giochi Olimpici stanno guadagnando slancio a livello globale.
  • Il Comitato esecutivo della ginnastica europea ha deciso che Tel Aviv non ospiterà più i Campionati europei di ginnastica artistica 2025. 
  • I campionati europei di pallanuoto del 2024 si sono spostati fuori Israele. 
  • 4.000 artisti queer si sono impegnati a non esibirsi né esporre le loro opere in Israele. La più antica organizzazione LGBTQ+ negli Stati Uniti ha chiesto la fine del #genocidio di Gaza in Israele. Dieci registi queer si sono ritirati dal festival cinematografico LGBTQ+ sponsorizzato dal governo israeliano. Il National Student Pride nel Regno Unito ha eliminato gli sponsor complici dell’apartheid e del genocidio israeliani.

Fonte: Comitato Nazionale Palestinese per il BDS (BNC)

Dopo la sentenza vincolante della Corte internazionale di giustizia (CIG) del 26 gennaio 2024 che conferma la plausibilità del genocidio da parte di Israele contro 2,3 milioni di palestinesi nella Striscia di Gaza occupata e assediata e che ordina di fermare e prevenire tutti gli atti genocidi:

  • Gli Stati Uniti, la Germania, il Regno Unito e altre potenze occidentali hanno continuato ad armare, finanziare e consentire in altri modi il genocidio di Israele (compreso un altro veto statunitense), arrivando persino a tagliare i fondi dell’UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, NdT) per favorire la guerra per fame di Israele, un atto condannato dagli esperti di genocidio come “coinvolgimento diretto nell’intensificazione di atti genocidari contro il popolo palestinese”. 
  • Esperti dei diritti umani delle Nazioni Unite hanno chiesto un embargo “immediato” sulle armi contro Israele e “sanzioni su commercio, finanza, viaggi, tecnologia o cooperazione”.
  • Governi e aziende hanno iniziato a riesaminare e fermare i trasferimenti di armi e le relazioni militari con Israele e la sua industria militare complice, ma l’Assemblea Generale dell’ONU (UNGA) è chiamata a dare risposta al crescente consenso globale e ad aggirare la paralisi del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite guidato dagli Stati Uniti.
  • Nonostante il dominio della propaganda israeliana che giustifica il genocidio nei principali media statunitensi, la maggioranza degli elettori statunitensi, come la maggior parte dell’umanità, sostiene l’interruzione o il condizionamento dei finanziamenti militari e delle spedizioni di armi a Israele. 

Sia nel caso sull'occupazione prolungata che nel caso sul genocidio presentati alla Corte Internazionale di Giustizia contro Israele, un gran numero di stati, organizzazioni regionali, avvocati per i diritti umani ed esperti di diritto internazionale hanno condannato il sistema di apartheid di Israele contro i palestinesi e la sua guerra genocida. Hanno affermato che la “totale impunità” di Israele, come l'ha definita il Segretario Generale delle Nazioni Unite, rappresenta una minaccia non solo per i palestinesi, ma anche per il sistema legale internazionale e la pace nel mondo.

Le forze israeliane hanno commesso diversi massacri contro palestinesi affamati in cerca degli scarsissimi aiuti alimentari in arrivo, mentre continuavano la loro campagna di bombardamenti sfrenati, che hanno ucciso oltre 3 500 palestinesi dall’ordine della Corte internazionale di giustizia (con un totale che dall’ottobre 2023 supera i 31mila, per lo più bambini e donne).

Il 21 febbraio, a seguito di un ripetuto appello da parte del comitato inter-agenzie delle Nazioni Unite per un cessate il fuoco, il capo dell’UNRWA Phillip Lazzarini ha nuovamente avvertito che “non esiste un posto sicuro a Gaza; le malattie dilagano; la carestia incombe; l'acqua è agli sgoccioli; la produzione alimentare si è fermata; gli ospedali si sono trasformati in campi di battaglia; un milione di bambini affrontano traumi quotidiani”. Lo stesso giorno, gli Stati Uniti, ancora una volta, hanno posto il veto a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che chiedeva un cessate il fuoco a Gaza.

La Convenzione sul genocidio, secondo gli esperti di diritto internazionale, obbliga gli stati “ad astenersi dall’essere complici attraverso aiuti o assistenza… nel momento in cui lo stato viene a conoscenza dell’esistenza di un grave rischio che venga commesso un genocidio”. L’incapacità di prevenire il genocidio, per non parlare della fornitura di aiuto o assistenza a Israele mentre lo sta plausibilmente perpetrando, rende gli stati complici.

Gli stati del Sud del mondo hanno ampiamente appoggiato il caso di genocidio presentato dal Sudafrica contro Israele alla Corte internazionale di giustizia, con un crescente sostegno all’imposizione di sanzioni legali contro di esso. La sentenza della Corte internazionale di giustizia, così come le mobilitazioni di solidarietà di massa, le azioni di disturbo pacifiche e altre forme creative di pressione contro il genocidio di Israele trasmesso in live streaming hanno spinto stati, aziende e istituzioni in tutto il mondo ad agire:

  • La Bolivia ha sospeso completamente le relazioni diplomatiche con Israele, mentre Cile, Colombia, Ciad, Honduras, Turchia e Giordania hanno ridimensionato le relazioni con Israele.
  • L'Unione Africana ha di fatto sospeso lo status di osservatore di Israele. 
  • Il fondo pensione norvegese, il più grande del mondo, ha completamente disinvestito dalle obbligazioni israeliane (quasi 500 milioni di dollari).
  • Il 29 febbraio il presidente colombiano Gustavo Petro ha annunciato la sospensione totale degli acquisti di armi da Israele. 
  • Il 12 febbraio un tribunale olandese ha ordinato al governo di sospendere l’esportazione di parti di aerei da caccia F-35 verso Israele. 
  • Il governo regionale belga della Vallonia ha sospeso due licenze di esportazione di armi verso Israele. 
  • Il 29 febbraio il Partito socialista operaio spagnolo, il principale partito al potere in Spagna, ha votato in parlamento, insieme ad altri partiti, a favore dell'immediata sospensione del commercio di armi della Spagna con Israele. 
  • I vice primi ministri di Belgio e Spagna hanno chiesto di “sospendere il trattato di associazione dell'UE con Israele, imponendo un embargo generale sulle armi o addirittura imponendo sanzioni nell'ambito del regime globale di sanzioni sui diritti umani dell'UE” per costringere Israele ad accettare un cessate il fuoco a Gaza.
  • La Malesia ha impedito alle navi israeliane e alle navi dirette in Israele di utilizzare i suoi porti.
  • Il 1° marzo, il Nicaragua ha intentato una causa contro la Germania presso la Corte internazionale di giustizia ai sensi della Convenzione sul genocidio, accusandola di “facilitare il genocidio di Israele” contro i palestinesi e di complicità in altri suoi crimini, compreso l'apartheid.
  • Sempre il 1° marzo, oltre 200 politici e parlamentari di oltre 12 paesi hanno rilasciato una dichiarazione in cui si impegnavano ad “un’azione immediata e coordinata” nei loro parlamenti per impedire ai loro paesi di armare Israele.
  • Il leader dell'UE Josep Borrell, dopo aver rilasciato in precedenza dichiarazioni che avevano dato il via libera al genocidio di Israele, ha recentemente invitato gli alleati di Israele, in particolare gli Stati Uniti, a smettere di armarlo. 
  • La Federcalcio dell'Asia occidentale ha chiesto alla FIFA di sospendere l'adesione di Israele. 

Alcune grandi aziende stanno anche agendo per aggirare la responsabilità penale per complicità nel genocidio. Il 5 febbraio, Itochu Aviation, una divisione della giapponese Itochu Corporation, e Nippon Aircraft Supply Co. hanno messo fine alle rispettive partnership con Elbit Systems, il principale produttore di armi israeliano, citando esplicitamente la sentenza della Corte internazionale di giustizia. 

Stati e aziende a parte, secondo esperti di diritto internazionale anche alti funzionari governativi potrebbero essere ritenuti penalmente responsabili per la loro complicità nel genocidio in seguito alla sentenza della Corte internazionale di giustizia.

L'accertamento della plausibilità del genocidio da parte della Corte internazionale di giustizia mette in guardia con urgenza stati, istituzioni, aziende e funzionari: fermare la complicità con il genocidio a Gaza da parte di Israele o essere ritenuti penalmente responsabili. Fino a quando Israele non porrà fine al genocidio e non adempierà pienamente ai suoi obblighi ai sensi del diritto internazionale, gli stati unilateralmente, a livello regionale e collettivamente presso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UNGA), nel quadro della riconvocazione della 10a Sessione di Emergenza dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nell’ambito della procedura Uniting for Peace, devono:  

  1. Imporre sanzioni economiche legali e proporzionate e altre contromisure nei confronti di Israele, in particolare un embargo militare bilaterale; annullare gli accordi di libero scambio, di cooperazione e sull’energia; vietare le merci provenienti da aziende implicate negli insediamenti illegali di Israele; ecc., e approvare una risoluzione dell'Assemblea generale in tal senso. 
  2. Agire immediatamente per espellere Israele dai consessi internazionali, tra cui l’UNGA (e altri organismi delle Nazioni Unite come l’ECOSOC), il Comitato Olimpico Internazionale, la FIFA e altri, come è stato fatto per il Sudafrica dell’apartheid. 
  3. Gli stati parti della Corte Penale Internazionale (CPI) devono fare pressione sul Procuratore affinché porti avanti rapidamente le indagini su tutti i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità e gli atti di genocidio compiuti da autori israeliani contro il popolo palestinese, ed emetta immediatamente mandati di arresto davanti alla Corte dal 2014. 
  4. Arrestare e perseguire, anche applicando la giurisdizione universale, i funzionari israeliani che hanno compiuto atti di genocidio contro i palestinesi, istigato o sostenuto il genocidio.
  5. Garantire che le entità aziendali e le istituzioni domiciliate nel loro territorio o sotto la loro giurisdizione cessino e desistano dal sostenere il genocidio di Israele e altri crimini ai sensi del diritto internazionale, compreso l'apartheid, e li ritengano responsabili di qualsiasi complicità. 
  6. Unirsi al vasto e crescente numero di stati del Sud del mondo che sostengono il caso di genocidio del Sudafrica contro Israele presso la Corte internazionale di giustizia.

Fonte: Anti-Apartheid Movement

Traduzione di BDS Italia

Mentre inizia il Ramadan, il sistema di monitoraggio della fame delle Nazioni Unite, Integrated Food Security Phase Classification, ha lanciato l’allarme riguardo alla carestia a Gaza confermando che “questa è la percentuale più alta di persone che affrontano alti livelli di insicurezza alimentare acuta classificata finora dall’iniziativa IPC per una determinata area o paese”.

Il genocidio da parte di Israele trasmesso in live streaming contro 2,3 milioni di palestinesi nella Striscia di Gaza occupata e assediata è ormai entrato nel suo sesto mese, uccidendo oltre 30 000 palestinesi, tra cui 13 000 bambini, portando oltre mezzo milione sull’orlo della carestia e rendendo Gaza in gran parte inabitabile. Usando la fame come arma di guerra, Israele ha severamente limitato la fornitura di aiuti alla regione settentrionale di Gaza, esacerbando la già terribile situazione. 

Allo stesso tempo, il governo di estrema destra dell’Israele dell’apartheid sta imponendo severe restrizioni ai palestinesi nella Cisgiordania occupata impedendo loro di raggiungere il complesso della moschea di al-Aqsa, il Nobile Santuario situato nella Città Vecchia di Gerusalemme occupata, durante questo mese sacro. 

Porre fine a ogni complicità statale, aziendale e istituzionale con il regime genocida di Israele è quindi più urgente che mai. Intensifichiamo le campagne spontanee e facciamo uno sforzo consapevole per rafforzare le campagne globali di boicottaggio dei prodotti delle aziende complici (israeliane e internazionali). Non si tratta solo di sostenere una giusta causa; si tratta di partecipare attivamente alla fine del sistema genocida che opprime e uccide il nostro popolo. 

Mentre milioni di persone in tutto il mondo interrompono il digiuno durante il Ramadan, ricordate quelli di Gaza la cui fame indotta rimane ininterrotta. Impegniamoci a:

  • Boicottare i datteri israeliani: non interrompete il digiuno con i datteri israeliani, coltivati su terra palestinese rubata e con acqua rubata. Controllate sempre l'etichetta e non acquistare datteri prodotti o confezionati in Israele o nei suoi insediamenti in Cisgiordania. Se sulla confezione non è riportato alcun paese di origine, controllate il sito web del rivenditore. (Altre informazioni possono essere trovate qui)
  • Boicottare tutta la frutta e la verdura israeliana: le principali esportazioni israeliane, coltivate su terre palestinesi rubate, includono avocado, erbe aromatiche e peperoni colorati. Controllate il paese di origine. Boicottate tutti i prodotti provenienti dall’Israele dell’apartheid nel vostro supermercato e chiedete che vengano rimossi dagli scaffali.
  • #BoycottCarrefour: Carrefour favorisce il genocidio. Incrementiamo il boicottaggio durante il Ramadan finché non porrà fine alla sua complicità con l'apartheid israeliana. Carrefour-Israel ha sostenuto i soldati israeliani che hanno preso parte al genocidio dei palestinesi a Gaza con doni di pacchi personali, mentre Carrefour France ha mantenuto il silenzio al riguardo. Nel 2022, Carrefour ha avviato una partnership con la società israeliana Electra Consumer Products e la sua controllata Yenot Bitan, entrambe coinvolte in gravi violazioni dei diritti umani contro il popolo palestinese.
  • #BoycottMcDonalds: l'affiliato israeliano del marchio ha donato pasti e bevande al personale militare israeliano responsabile del genocidio contro i palestinesi a Gaza e ha promosso questa forma di complicità estremamente provocatoria e razzista sui canali dei propri social media. Intensifichiamo il boicottaggio di McDonald's in tutto il mondo durante il Ramadan fino a quando non rescinderà il suo accordo con il suo affiliato israeliano a causa del suo sostegno ai crimini di guerra, ai crimini contro l'umanità e al genocidio di Israele.
  • Boicottare le aziende complici che sono rimaste in silenzio quando la loro filiale/affiliata in Israele ha sostenuto il genocidio e tutte le aziende che hanno consentito il genocidio contro il nostro popolo a Gaza. (Per maggiori informazioni vedere qui)

Facciamo che questo Ramadan sia un momento di azione e di solidarietà significativa con gli oppressi. Condividete il messaggio, aumentare la consapevolezza e unitevi a milioni di persone in tutto il mondo nell’impegno a intensificare il boicottaggio delle aziende complici che traggono profitto dal genocidio.

Fonte: Comitato nazionale palestinese per il BDS (BNC)

Traduzione di BDS Italia

Domenica 26 novembre alla scuola Holden di Torino si è svolto un incontro con lo storico di fama internazionale Ilan Pappé, intellettuale israeliano che ha dato un importante contributo alla letteratura internazionale, ha scritto diversi libri sulla storia dell'occupazione in Palestina come " La pulizia etnica della Palestina".
"I palestinesi hanno tentato qualunque via possibile per sopravvivere: lotta violenta, lotta nonviolenta, richieste di supporto e intervento alla comunità internazionale. Stanno facendo tutto quello che è loro possibile per sopravvivere. E questo è il contesto più importante da tenere a mente quando si analizzano gli avvenimenti del 7 ottobre 2023."

Si ringraziano gli organizzatori dell'evento: BDS Torino e Progetto Palestina. Il video è stato prodotto da Invictapalestina con la traduzione di Ilaria Zomer.

 

 

I palestinesi chiedono di fare la massima pressione per fermare il genocidio e smantellare l’apartheid.

La Corte internazionale di giustizia (CIG) oggi ha fatto la storia. Ha confermato la plausibilità dell’accusa del Sudafrica ai sensi della Convenzione sul genocidio secondo cui “Israele si è impegnato, si sta impegnando e rischia di impegnarsi ulteriormente in atti di genocidio contro il popolo palestinese a Gaza”. Ordina a Israele di prevenire qualsiasi atto genocida, di impedire ai suoi militari di commettere tali atti e di garantire l’ingresso di cibo, acqua, medicine e altri bisogni umanitari nella Striscia di Gaza occupata e assediata.

Il Comitato di coordinamento anti-apartheid palestinese (PAACC), che comprende il Dipartimento anti-apartheid dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), il Comitato anti-apartheid del Consiglio nazionale palestinese (PNC), il movimento BDS, il Consiglio dell’Organizzazione palestinese per i diritti umani (PHROC) e la Rete delle ONG palestinesi (PNGO), accoglie con entusiasmo la storica decisione della Corte internazionale di giustizia. Le decisioni della Corte internazionale di giustizia sono definitive, vincolanti e non soggette ad appello, e tutti gli stati devono rispettare i loro obblighi legali adottando unilateralmente e collettivamente tutte le misure possibili per garantire urgentemente e definitivamente che Israele rispetti la decisione della Corte e attui pienamente e senza ritardi le misure provvisorie ordinate.

Mentre la Corte non è riuscita a ordinare esplicitamente un cessate il fuoco immediato e permanente per fermare il genocidio, ora più che mai gli stati devono essere sottoposti a pressioni affinché adempino ai loro obblighi legali e impongano a Israele un cessate il fuoco. 

La decisione della Corte internazionale di giustizia affida ora una maggiore responsabilità legale, e morale, sulle spalle degli stati che rispettano il diritto internazionale, della società civile e delle persone di coscienza in tutto il mondo per porre fine al genocidio in corso da parte di Israele e per contribuire a smantellare il sistema di oppressione sottostante. 

Tutti gli stati, le aziende, le istituzioni, i media, che sono complici con qualsiasi aspetto del regime israeliano di colonialismo di insediamento, apartheid e occupazione militare, in vigore da 75 anni, devono porre fine immediatamente a questa complicità ed essere ritenuti responsabili per il loro aiuto e il loro sostegno a crimini di guerra, crimini contro l’umanità e, plausibilmente, genocidio. Gli stati terzi che hanno consapevolmente fornito armi, materiali e altro sostegno a Israele da utilizzare in crimini atroci, compreso il genocidio, devono essere ritenuti responsabili per avere contribuito ad atti illeciti a livello internazionale e a violazioni delle norme di diritto cogente nell’ambito del diritto internazionale. 

A seguito della storica decisione della Corte internazionale di giustizia secondo cui Israele sta plausibilmente commettendo un genocidio, e dato che gli stati parti della Convenzione sul genocidio hanno un obbligo erga omnes di prevenire e punire il crimine di genocidio, devono:

  • Imporre un embargo militare bilaterale a Israele, adoperarsi per adottare un embargo obbligatorio sulle armi nei suoi confronti presso le Nazioni Unite e adottare altre misure punitive per prevenire e reprimere i suoi atti di genocidio e porre fine alla fornitura di sostegno economico e diplomatico.
  • Imporre sanzioni economiche legittime e proporzionate e altre contromisure a Israele, inclusa la cancellazione di tutti gli accordi di libero scambio e di cooperazione, finché non adempirà ai suoi obblighi ai sensi del diritto internazionale. 
  • Agire immediatamente per espellere Israele dalle sedi internazionali, tra cui l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il Comitato Olimpico Internazionale, la FIFA e altri, come è avvenuto nel caso del Sudafrica dell’apartheid. 
  • Gli stati parte della Corte penale internazionale (CPI) devono fare pressione sul Procuratore affinché porti avanti rapidamente le indagini su tutti i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità e gli atti di genocidio compiuti da autori israeliani contro il popolo palestinese, e emetta immediatamente e senza ulteriori ritardi mandati di arresto per le denunce presentate alla Corte, dal 2014. Devono inoltre garantire che la Corte disponga di tutte le risorse per garantire la fattibilità delle indagini sulla situazione in Palestina.
  • Arrestare e perseguire, anche applicando la giurisdizione universale, cittadini israeliani, compresi funzionari governativi, o persone presenti sul loro territorio o nella loro giurisdizione, che hanno incitato al genocidio, sostenuto il genocidio o compiuto atti di genocidio contro il popolo palestinese.
  • Agire secondo la propria responsabilità per garantire che le entità e le istituzioni aziendali domiciliate nel loro territorio o sotto la loro giurisdizione cessino di agevolare e sostenere il genocidio che sta commettendo Israele e altri crimini ai sensi del diritto internazionale, compreso il crimine contro l’umanità di apartheid contro il popolo palestinese. 
  • Unirsi al vasto e crescente numero di stati del Sud del mondo nel sostenere il ricorso per genocidio del Sudafrica contro Israele presso l'CIG.

L’ordine di misure provvisorie può contribuire alla protezione dei diritti dei palestinesi da “ulteriori, gravi e irreparabili danni” come richiesto dal Sud Africa. Se attuate, le misure potrebbero fermare il grave danno causato dal genocidio da parte di Israele contro 2,3 milioni di palestinesi, ma anche quando gli incessanti bombardamenti israeliani sui civili e sulle infrastrutture civili finiranno, la carestia e le malattie infettive che si stanno diffondendo a Gaza a causa dell’assedio mortale e della distruzione di case da parte di Israele continueranno a devastare i palestinesi. Gli esperti dei diritti umani delle Nazioni Unite hanno avvertito che tutti i palestinesi di Gaza, metà dei quali bambini, soffrono la fame e oltre mezzo milione sta “morendo di fame”. 

C’è ancora molto da fare per affrontare le cause profonde della Nakba palestinese in corso. “Gli atti genocidi di Israele”, come ha affermato il Sudafrica davanti alla Corte Internazionale di Giustizia, devono essere intesi “nel contesto più ampio dei 75 anni di apartheid di Israele, dei 56 anni di occupazione e dei 16 anni di assedio imposti alla Striscia di Gaza”. La violenza coloniale di Israele dal 1948, ha affermato il Sudafrica, “ha sistematicamente e con la forza espropriato, sfollato e frammentato il popolo palestinese, negandogli deliberatamente il diritto, inalienabile e riconosciuto a livello internazionale, all’autodeterminazione e il diritto, riconosciuto a livello internazionale” al ritorno dei profughi alle loro città e ai loro villaggi, in quello che oggi è lo Stato d’Israele”.  

Nell’appello unificato contro l’apartheid palestinese del 2023, i palestinesi hanno affermato che “lo smantellamento del regime israeliano di colonialismo di insediamento e apartheid è una condizione indispensabile affinché il popolo palestinese possa esercitare tutti i suoi diritti legittimi e inalienabili, come previsto dal diritto internazionale”. 

Il popolo palestinese sa fin troppo bene che solo attraverso il potere popolare, l’unità e la mobilitazione possiamo ottenere giustizia ed essere in grado di esercitare i nostri diritti inalienabili. Chiediamo alle persone di tutto il mondo di cogliere questo momento, risultato della sentenza della Corte internazionale di giustizia, e di rispondere all’appello unificato palestinese “per rafforzare la crescente solidarietà con il popolo palestinese e la nostra giusta causa sostenendo, e partecipando attivamente, al movimento di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) guidato dai palestinesi”.

La giustizia è l’unica soluzione accettabile. Qualsiasi azione o sforzo diplomatico che non sia incentrato sulla fine e sulla punizione del genocidio, dei crimini contro l’umanità, dei crimini di guerra e delle violazioni dei diritti umani di Israele, così come sulla fine di ogni tipo di complicità internazionale, equivale a perpetuare l’impunità, l’ingiustizia e l’oppressione del nostro popolo, smantellando ulteriormente lo stato di diritto internazionale.

Fonte:Comitato nazionale palestinese per il BDS (BNC)

Traduzione di BDS Italia

Di Ilan Pappé*

L’approccio morale e coraggioso del Sud Africa alla Corte Internazionale di Giustizia (CIG), sperando in una sentenza che mettesse fine al genocidio dei palestinesi a Gaza, non è stato uguagliato dalla Corte venerdì 26 gennaio 2024. 

Non sottovaluto il significato della sentenza della Corte. È vero, la corte ha confermato il diritto del Sudafrica di rivolgersi alla CIG e ha motivato i fatti presentati, compreso il presupposto che le azioni di Israele potrebbero essere definite genocidio secondo i termini della convenzione sul genocidio.

A lungo termine, il linguaggio e le definizioni utilizzate dalla CIG nella sua prima sentenza costituiranno un'enorme vittoria simbolica sulla via della liberazione della Palestina. 

Ma non è questo il motivo per cui il Sud Africa si è rivolto alla CIG. Il Sudafrica voleva che la corte fermasse il genocidio. E quindi, da un punto di vista operativo, la CIG ha perso un’occasione per fermare il genocidio, soprattutto perché continua a trattare Israele come una democrazia e non come uno stato canaglia. 

I palestinesi, e chiunque sostenga qualsiasi lotta contro i crimini commessi dai paesi del nord del mondo, hanno smesso da tempo di lasciarsi impressionare dalle azioni simboliche. Le azioni contro gli stati canaglia hanno senso solo se hanno un lato operativo.

Le azioni operative suggerite dalla CIG sono fondamentalmente una richiesta fatta a Israele di presentare, entro un mese, un rapporto sulle misure adottate per prevenire il genocidio a Gaza. 

Non c’è da stupirsi che il Governo israeliano abbia già lasciato intendere che una simile richiesta non sarebbe stata tra le sue priorità e, soprattutto, non avrebbe avuto alcun impatto sulle sue politiche sul campo. 

Anche se la CIG avesse chiesto, come avrebbe dovuto, un cessate il fuoco, ci sarebbe voluto molto tempo per attuarlo, data l’intransigenza israeliana. Ma il messaggio a Israele sarebbe stato chiaro – ed efficace. 

Licenza di commettere un genocidio

La cosa importante da ricordare in ogni impegno con Israele è che ciò che conta non è come viene inteso il messaggio, ma come viene interpretato dai politici israeliani. 

La solidarietà occidentale con Israele, manifestata il 7 ottobre 2023, è stata intesa dai suoi politici come una libera licenza per commettere un genocidio a Gaza. Allo stesso modo, optare per un rapporto invece che per un’azione è interpretato in Israele come un leggero schiaffo sulle mani, che dà a Israele almeno altri 30 giorni per continuare la sua politica genocida.

Se così fosse, cosa rimarrebbe di Gaza tra un mese? Quale sarebbe la portata del genocidio tra un mese, se non solo l’Occidente ma anche la CIG si rifiutassero di chiedere un cessate il fuoco immediato? Temo che non sia necessario rispondere a queste terribili domande. 

Ma soprattutto il delitto è già stato commesso, non è che ci sia ancora tempo per fermarlo. Pertanto, a meno che la CIG non ritenga che le azioni di Israele possano essere invertite e corrette, invia un messaggio molto confuso. Sembra suggerire che, sebbene le azioni possano costituire un crimine, se la carneficina fosse limitata, ciò sarebbe accolto favorevolmente dalla CIG.

Storia del fallimento in Palestina 

La CIG è sembrata mancare di coraggio quando si è astenuta dal chiedere ciò che molti paesi del sud del mondo e un gran numero di persone nella società civile globale hanno chiesto negli ultimi tre mesi.

Se l’intero processo si concluderà con la consueta conclusione che il diritto internazionale non ha il potere di fermare la distruzione della Palestina e dei palestinesi, ciò avrà un impatto ancora maggiore sulla questione palestinese. 

Di fatto, questa consapevolezza potrebbe minare gravemente la fiducia, già molto bassa, del Sud del mondo nell’universalità del diritto intenzionale.

Sin dalla sua istituzionalizzazione definitiva dopo la seconda guerra mondiale, il diritto internazionale non è riuscito a trattare adeguatamente il colonialismo come crimine e non è mai stato in grado di sfidare un progetto coloniale di insediamento come quello di Israele. 

È diventato anche chiaro che le politiche imperialiste perseguite da Stati Uniti e Gran Bretagna, in chiara violazione del diritto internazionale, sono totalmente esenti dalla giurisdizione del diritto internazionale. Pertanto, gli Stati Uniti sono riusciti a invadere l’Iraq con una grave violazione del diritto internazionale e la Gran Bretagna ora prevede di inviare, senza timore di ritorsioni, i richiedenti asilo in Ruanda. 

Nel caso della Palestina, durante i 75 anni di Nakba in corso, il diritto internazionale – attraverso i suoi rappresentanti ufficiali e informali, professionisti e delegazioni – è stato completamente inefficace. Ciò non ha impedito l’uccisione di un solo palestinese, non ha portato al rilascio di un solo prigioniero politico palestinese, né ha impedito la pulizia etnica della Palestina. In effetti, l’elenco dei suoi fallimenti è troppo lungo per essere dettagliato qui. 

Ma c'è speranza 

C’è una nuova, importante lezione che dovrebbe plasmare la nostra attività e informare le nostre speranze per il futuro. 

Abbiamo già imparato che non c’è speranza di cambiamento all’interno della società israeliana, una lezione che è stata ignorata da coloro che sono coinvolti nel cosiddetto processo di pace. 

L’incapacità di comprendere il DNA della società sionista ha permesso a Israele, sin dal suo inizio, di uccidere i palestinesi in modo incrementale e massiccio, sia direttamente, sparandogli, sia indirettamente, negando loro le basilari condizioni umane di vita.  

Questo processo, guidato dagli Stati Uniti, si basava sulla formula secondo cui solo dopo il ripristino della “pace”, Israele sarebbe stato obbligato a modificare le sue spietate politiche sul terreno. 

Questo falso paradigma è completamente crollato, anche se l’amministrazione Biden tenta, in questi giorni, di resuscitarlo, insieme ai pochi palestinesi che, per qualche ragione, ripongono ancora la loro fiducia nella soluzione dei due stati.

E ora arriva la nuova, importante lezione: non solo non possiamo sperare in un cambiamento all’interno di Israele, ma non possiamo fare affidamento sul diritto internazionale per proteggere i palestinesi dal genocidio. 

Ciò, tuttavia, non significa che non ci sia speranza nel futuro per la liberazione e la decolonizzazione. Il progetto sionista è sul punto di implodere dall’interno. 

La società ebraica israeliana si sta disintegrando, la sua economia sta fallendo e la sua immagine internazionale si sta deteriorando. 

L’esercito israeliano non ha funzionato in ottobre e il governo è a brandelli e incapace di fornire i servizi di base ai suoi cittadini. In queste circostanze, solo le guerre e i cinici interessi occidentali manterranno vivo questo progetto, ma per quanto tempo? 

Eppure, un simile processo di implosione nella storia può essere lungo, brutale e violento come si manifesta davanti ai nostri occhi in questi giorni.

E non siamo solo spettatori. Gli attivisti tra noi capiscono che dobbiamo raddoppiare e triplicare ciò che già sappiamo deve essere fatto. 

Continuiamo, fuori dalla Palestina, a cercare di spostare la “B” e la “D”, in Boicottaggio e Disinvestimento, in “S”, come in Sanzione.

Questo sforzo può essere intensificato spingendo in due direzioni. Da un lato, dovremmo esercitare una maggiore pressione sui governi del sud del mondo affinché siano più attivi, in particolare nel mondo arabo e musulmano. D’altro canto, dovremmo trovare modi migliori per aumentare la pressione elettorale sui nostri rappresentanti nel Nord del mondo. 

Non c’è bisogno di dire alla Resistenza palestinese cosa fare per difendere se stessa e il suo popolo. Non c’è bisogno di dire al movimento di liberazione come elaborare una strategia per il futuro. Ovunque si trovino, i palestinesi coinvolti nella lotta continueranno a perseverare e ad essere resilienti. Ciò di cui hanno veramente bisogno è che ogni sforzo esterno sia più efficace, realistico e coraggioso. 

Non si può non ammirare ciò che il movimento di solidarietà con la Palestina ha già realizzato, soprattutto negli ultimi tre mesi. 

Tuttavia, se i suoi attivisti leali e impegnati avessero bisogno di una ragione in più per spiegare perché ciò che stanno facendo è essenziale e giusto, allora la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia è un agghiacciante promemoria di ciò che è in gioco qui.

Se c’è una speranza di fermare il genocidio in tutta la Palestina storica, essa risiede nella capacità della società civile globale di prendere l’iniziativa. Perché è fin troppo evidente che i governi e gli organismi internazionali non vogliono o non possono farlo.

*Ilan Pappé è professore all’Università di Exeter. In precedenza è stato docente senior di scienze politiche presso l'Università di Haifa. È autore di La pulizia etnica della Palestina, Il Medio Oriente moderno, Una storia della Palestina moderna: una terra, due popoli e Dieci miti su Israele. È coeditore, insieme a Ramzy Baroud, di "Our Vision for Liberation". Pappé è descritto come uno dei "nuovi storici" israeliani che, dalla pubblicazione di documenti pertinenti del Governo britannico e del Governo israeliano all'inizio degli anni '80, hanno riscritto la storia della creazione di Israele nel 1948.

Fonte: Palestine Chronicle

Traduzione di BDS Italia

Di Naomi Klein

Nel 2005, i palestinesi hanno chiesto al mondo di boicottare Israele finché non avesse rispettato il diritto internazionale. E se avessimo ascoltato?

Esattamente 15 anni fa, questa settimana, ho pubblicato un articolo sul Guardian. Iniziava così:

Basta. È tempo di boicottaggio

Il momento è arrivato. Anzi, è passato da un pezzo. La strategia migliore per porre fine all’occupazione, sempre più sanguinosa, è che Israele diventi l’obiettivo di quel tipo di movimento globale che ha posto fine all’apartheid in Sudafrica. Nel luglio 2005, un’ampia coalizione di gruppi palestinesi ha presentato un piano per fare proprio questo. Hanno invitato “le persone di coscienza di tutto il mondo a imporre ampi boicottaggi e ad attuare iniziative di disinvestimento contro Israele simili a quelle applicate al Sudafrica nell’era dell’apartheid”. È nata la campagna Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS).

Nel gennaio 2009, Israele ha scatenato una nuova scioccante fase di uccisioni di massa nella Striscia di Gaza, chiamando la sua feroce campagna di bombardamenti operazione ‘Piombo Fuso’. L’operazione ha ucciso 1.400 palestinesi in 22 giorni; il numero di vittime da parte israeliana è stato pari a 13. È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso e, dopo anni di reticenza, mi sono schierata pubblicamente a favore dell’appello guidato dai palestinesi per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni contro Israele finché non rispetterà il diritto internazionale e i principi universali dei diritti umani, noto come BDS.

Sebbene il BDS godesse di un ampio sostegno da parte di oltre 170 organizzazioni della società civile palestinese, a livello internazionale il movimento è rimasto piccolo. Durante l’operazione ‘Piombo Fuso’, la situazione ha iniziato a cambiare e un numero crescente di gruppi studenteschi e sindacali al di fuori della Palestina ha aderito.

Tuttavia, molti non aderivano. Ho capito il motivo per cui la tattica proposta sembrava troppo difficile. Esiste infatti una lunga e dolorosa storia di imprese e istituzioni ebraiche prese di mira dagli antisemiti. I lobbysti esperti che esercitano pressioni a favore di Israele sanno come avvalersi di questo trauma, per cui invariabilmente presentano le campagne volte a contestare le politiche discriminatorie e violente di Israele come attacchi odiosi agli ebrei in generale.

Per due decenni, la paura diffusa derivante da questa falsa equiparazione ha protetto Israele dal dover affrontare il pieno potenziale del movimento BDS; ma ora, mentre la Corte Internazionale di Giustizia ascolta la devastante raccolta di prove secondo cui Israele commette il crimine di genocidio a Gaza, ce n’è davvero abbastanza.

Dal boicottaggio degli autobus al disinvestimento dai combustibili fossili, le tattiche BDS hanno una storia ben documentata come armi tra le più potenti dell’arsenale nonviolento. Riprenderle e usarle in questo momento di svolta per l’umanità è un obbligo morale.

La responsabilità è particolarmente forte per quelli di noi i cui governi continuano ad aiutare attivamente Israele con armi letali, accordi commerciali lucrativi e veti alle Nazioni Unite. Come ci ricorda il BDS, non dobbiamo lasciare che questi accordi sciagurati parlino a nome nostro senza essere contestati.

Gruppi di consumatori organizzati hanno il potere di boicottare le aziende che investono in insediamenti illegali o che producono armi israeliane. I sindacati possono spingere i loro fondi pensione a disinvestire da queste aziende. Le amministrazioni comunali possono selezionare gli appaltatori in base a criteri etici che vietino queste relazioni. Come ci ricorda Omar Barghouti, uno dei fondatori e leader del movimento BDS: “L’obbligo etico più profondo in questi tempi è quello di agire per porre fine alla complicità. Solo così possiamo davvero sperare di porre fine all’oppressione e alla violenza”.

In questo senso, il BDS merita di essere visto come una politica estera popolare, o una diplomazia dal basso; e se diventa abbastanza forte, finirà per costringere i governi a imporre sanzioni dall’alto, come sta cercando di fare il Sudafrica. E questa è chiaramente l’unica forza che può far uscire Israele dal suo attuale percorso.

Barghouti sottolinea che, proprio come alcuni sudafricani bianchi sostennero le campagne anti-apartheid durante quella lunga lotta, gli ebrei israeliani che si oppongono alle violazioni sistematiche del diritto internazionale da parte del loro Paese sono invitati a unirsi al BDS. Durante l’operazione ‘Piombo Fuso’, un gruppo di circa 500 israeliani, molti dei quali artisti e studiosi di spicco, ha fatto proprio questo, dando alla fine il nome di Boycott from Within al loro gruppo.

Nel mio articolo del 2009, citavo la loro prima lettera di pressione, che chiedeva “l’adozione di misure restrittive e sanzioni immediate” contro il loro Paese e tracciava un parallelo diretto con la lotta anti-apartheid sudafricana. “Il boicottaggio del Sudafrica è stato efficace”, sottolineavano, affermando che il boicottaggio aveva contribuito a porre fine alla legalizzazione della discriminazione e della ghettizzazione in quel Paese, aggiungendo: “Ma Israele è trattato con i guanti bianchi… Questo sostegno internazionale deve finire”.

Questo era vero 15 anni fa; lo è purtroppo anche oggi.

Il prezzo dell’impunità

Leggendo i documenti del BDS della metà e della fine degli anni 2000, mi colpisce soprattutto la misura del deterioramento del terreno politico e umano. Negli anni successivi, Israele ha costruito più muri, eretto più posti di blocco, sguinzagliato più coloni illegali e lanciato guerre molto più letali. Tutto è peggiorato: il vetriolo, la rabbia, il giustificazionismo. È chiaro che l’impunità – il senso di impermeabilità e intoccabilità riservato a Israele che sta alla base del trattamento riservato ai palestinesi – tutto questo non è una forza statica. Si comporta piuttosto come una fuoriuscita di petrolio: una volta rilasciata, si riversa all’esterno, avvelenando tutto e tutti quelli che incontra. Si diffonde in superficie e affonda in profondità.

Da quando è stato lanciato l’appello originale per il BDS nel luglio 2005, il numero di coloni che vivono illegalmente in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, è esploso, raggiungendo una cifra stimata di 700.000 persone – vicina al numero di palestinesi espulsi durante la Nakba del 1948. Con l’espansione degli avamposti dei coloni, è aumentata anche la violenza degli attacchi dei coloni contro i palestinesi, mentre l’ideologia della supremazia ebraica e persino il palese fascismo si sono spostati al centro della cultura politica in Israele.

Quando ho scritto il mio primo articolo sul BDS, c’era un consenso nell’opinione pubblica che l’analogia con il Sudafrica fosse inappropriata e che la parola “apartheid”, usata da studiosi di diritto palestinese, attivisti e organizzazioni per i diritti umani, fosse inutilmente infiammatoria. Ora, tutti, da Human Rights Watch ad Amnesty International, fino alla principale organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem, hanno condotto studi accurati e sono giunti all’ineluttabile conclusione che apartheid è effettivamente il termine legale corretto per descrivere le condizioni in cui israeliani e palestinesi conducono vite nettamente diseguali e segregate. Anche Tamir Pardo, l’ex capo dell’agenzia di intelligence Mossad, ha ammesso il punto: “Qui c’è uno stato di apartheid”, ha detto a settembre. “Un territorio in cui due persone sono giudicate in base a due sistemi legali diversi, è uno stato di apartheid”.

Inoltre, molti ora capiscono che l’apartheid non esiste solo nei territori occupati, ma anche all’interno dei confini israeliani del 1948, un caso illustrato in un importante rapporto del 2022 di una coalizione di gruppi palestinesi per i diritti umani organizzata da Al-Haq. È difficile sostenere il contrario quando l’attuale governo di estrema destra israeliano è salito al potere con un accordo di coalizione che afferma: “Il popolo ebraico ha un diritto esclusivo e indiscutibile su tutte le aree della Terra d’Israele… la Galilea, il Negev, il Golan, la Giudea e la Samaria”.

Quando regna l’impunità, tutto si può spostare e muoversi, anche la frontiera coloniale. Nulla rimane statico.

Poi c’è Gaza. Il numero di palestinesi uccisi nell’operazione ‘Piombo Fuso’ sembrava inarrivabile all’epoca. Ben presto abbiamo capito che non si trattava di un evento isolato. Al contrario, quell’operazione ha inaugurato una nuova politica omicida che i funzionari militari israeliani chiamavano disinvoltamente “falciare l’erba”: ogni due anni portava una nuova campagna di bombardamenti, che uccideva centinaia di palestinesi o, nel caso dell’operazione ‘Protective Edge’ del 2014, più di 2.000, tra cui 526 bambini.

Quei numeri hanno scioccato ancora una volta e hanno scatenato una nuova ondata di proteste. Non è stato comunque sufficiente a privare Israele della sua impunità, che ha continuato a essere protetta dall’immancabile veto degli Stati Uniti all’ONU, oltre che dal costante flusso di armi. Più corrosiva della mancanza di sanzioni internazionali è stata la ricompensa: negli ultimi anni, accanto a tutta questa illegalità, Washington ha riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele e vi ha trasferito la propria ambasciata. Ha anche mediato i cosiddetti accordi di Abramo, che hanno dato il via a lucrosi accordi di normalizzazione tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrein, il Sudan e il Marocco.

È stato Donald Trump a iniziare a inondare Israele con questi ultimi e tanto desiderati regali, ma il processo è proseguito senza soluzione di continuità sotto Joe Biden. Così, alla vigilia del 7 ottobre, Israele e Arabia Saudita erano sul punto di firmare quello che era stato salutato come “l’accordo del secolo”.

Dove erano i diritti e le aspirazioni dei palestinesi in tutti questi accordi? Assolutamente da nessuna parte. Perché l’altra cosa che era scomparsa in questi anni di impunità era qualsiasi indicazione che Israele intendesse tornare al tavolo dei negoziati. L’obiettivo chiaro era quello di schiacciare il movimento palestinese per l’autodeterminazione usando la forza, oltre all’isolamento fisico e politico e alla frammentazione.

Sappiamo come sono andati i capitoli successivi di questa storia. L’orribile attacco di Hamas del 7 ottobre. La furiosa determinazione di Israele a sfruttare quei crimini per fare ciò che alcuni alti dirigenti del governo volevano fare da tempo: sfollare i palestinesi da Gaza, cosa che attualmente sembra si stia tentando di fare attraverso la combinazione di uccisioni dirette, demolizioni in massa di case (“domicidi“), diffusione di fame, sete e malattie infettive e, infine, espulsioni di massa.

Sia chiaro: questo è ciò che significa permettere a uno stato di diventare canaglia, lasciare che l’impunità regni incontrollata per decenni, usando i veri traumi collettivi subiti dal popolo ebraico come scusa e storia inesauribile di copertura. Un’impunità del genere non inghiottirà un solo paese, ma tutti i paesi con cui è alleato. Inghiottirà l’intera architettura internazionale del diritto umanitario forgiata tra le fiamme dell’olocausto nazista. Se glielo permettiamo.

Un decennio di attacchi legali al BDS

Il che solleva un’altra questione che non è rimasta stabile negli ultimi due decenni: l’ossessione crescente di Israele per la repressione del BDS, a prescindere dal costo dei diritti politici faticosamente conquistati. Nel 2009, i critici del BDS sostenevano molti motivi per cui l’iniziativa era una cattiva idea. Alcuni temevano che i boicottaggi culturali e accademici avrebbero interrotto il necessario collegamento con gli israeliani progressisti, e temevano che si sarebbe sfociati nella censura. Altri hanno sostenuto che le misure punitive creerebbero un contraccolpo e sposterebbero Israele più a destra.

È quindi sorprendente, guardando indietro, che quei primi dibattiti siano praticamente scomparsi dalla sfera pubblica, e non perché una parte abbia vinto la discussione. Sono scomparsi perché l’intera idea di avere un dibattito è stata soppiantata da un’unica strategia: usare l’intimidazione legale e istituzionale per mettere le tattiche BDS fuori portata e chiudere il movimento.

Finora negli Stati Uniti sono state presentate 293 proposte di legge anti-BDS in tutto il Paese e sono state promulgate in 38 Stati, secondo Palestine Legal, che ha seguito da vicino questa ondata. Alcune leggi prendono di mira i finanziamenti universitari, altre richiedono che chiunque riceva un contratto con uno stato o lavori per uno stato firmi un contratto in cui si impegna a non boicottare Israele, e “alcune chiedono allo stato di compilare liste nere pubbliche degli enti che boicottano i diritti dei palestinesi o sostengono il BDS”. In Germania, invece, il sostegno a qualsiasi forma di BDS è sufficiente per causare la revoca di premi, il ritiro di finanziamenti, la cancellazione di spettacoli e conferenze (cosa che ho sperimentato di persona).

Questa strategia è, naturalmente, più aggressiva all’interno di Israele stesso. Nel 2011, il Paese ha promulgato la Legge per la Prevenzione dei Danni allo Stato di Israele causati dal Boicottaggio, stroncando sul nascere il nascente movimento Boycott from Within. Il centro legale Adalah, un’organizzazione che lavora per i diritti delle minoranze arabe in Israele, spiega che la legge “proibisce la promozione pubblica del boicottaggio accademico, economico o culturale da parte di cittadini e organizzazioni israeliane contro le istituzioni israeliane o gli insediamenti israeliani illegali in Cisgiordania. La legge consente di intentare cause civili contro chiunque inviti al boicottaggio”. Come le leggi di alcuni stati USA, “proibisce anche a chi sostiene il boicottaggio di partecipare a qualsiasi gara d’appalto pubblica”. Nel 2017, Israele ha iniziato a vietare apertamente l’ingresso in Israele agli attivisti pro-BDS; 20 gruppi internazionali sono stati inseriti nella cosiddetta lista nera BDS, tra cui l’organizzazione contro la guerra Jewish Voice for Peace.

Nel frattempo, in tutti gli Stati Uniti, i lobbisti delle compagnie del petrolio e del gas e i produttori di armi stanno prendendo spunto dall’offensiva legale anti-BDS e stanno spingendo legislazioni simili per limitare le campagne di disinvestimento che prendono di mira i loro clienti. “Questo dimostra perché è così pericoloso permettere questo tipo di divieto di parlare di Palestina”, ha dichiarato Meera Shah, avvocata senior di Palestine Legal, alla rivista Jewish Currents. “Perché non solo è dannoso per il movimento per i diritti dei palestinesi, ma finisce per danneggiare altri movimenti sociali”. Ancora una volta, nulla rimane statico, l’impunità si espande, e quando i diritti di boicottaggio e disinvestimento vengono tolti per la solidarietà palestinese, viene tolto anche il diritto di usare questi stessi strumenti per spingere l’azione per il clima, il controllo delle armi e i diritti LGBTQ+.

In un certo senso, questo è un vantaggio, perché offre l’opportunità di approfondire le alleanze tra i movimenti. Tutte le principali organizzazioni progressiste e i sindacati hanno interesse a proteggere il diritto al boicottaggio e al disinvestimento come principi fondamentali della libera espressione e strumenti critici di trasformazione sociale. Il piccolo team di Palestine Legal ha guidato la spinta negli Stati Uniti in modo straordinario, presentando cause in tribunale che contestano l’incostituzionalità delle leggi anti-BDS e sostenendo le cause di contenuto opposto. Questi attivisti meritano molto più sostegno.

È finalmente arrivato il momento del BDS?

C’è un altro motivo per rincuorarsi: il motivo per cui Israele insegue il BDS con tanta ferocia è lo stesso per cui tanti attivisti hanno continuato a crederci nonostante questi attacchi su più fronti. Perché può funzionare.

Lo abbiamo visto quando compagnie mondiali hanno iniziato a ritirarsi dal Sudafrica negli anni Ottanta. Non perché fossero improvvisamente colpite da illuminazioni morali antirazziste. Ma, quando il movimento è diventato internazionale e le campagne di boicottaggio e disinvestimento hanno iniziato a influenzare le vendite di auto e i clienti delle banche al di fuori del paese, queste aziende hanno calcolato che sarebbe costato loro di più rimanere in Sudafrica che andarsene. I governi occidentali hanno iniziato poi a imporre sanzioni per ragioni simili.

Questo ha danneggiato il settore imprenditoriale sudafricano, parti del quale hanno esercitato pressioni sul governo dell’apartheid affinché facesse concessioni ai movimenti di liberazione dei neri che da decenni si ribellavano all’apartheid con rivolte, scioperi di massa e resistenza armata. I costi del mantenimento di uno status quo crudele e violento erano sempre più alti, anche per l’élite sudafricana.

Da ultimo, alla fine degli anni ’80, la tenaglia di pressioni dall’esterno e dall’interno si è fatta così intensa da costringere il presidente Frederik de Klerk a rilasciare Nelson Mandela dal carcere dopo 27 anni e a indire le elezioni con voto uninominale che portarono Mandela alla presidenza.

Le organizzazioni palestinesi che hanno mantenuto viva la fiamma del BDS in anni molto bui ripongono ancora la loro speranza nel modello sudafricano di pressione esterna. In effetti, mentre Israele perfeziona l’architettura e l’ingegneria della ghettizzazione e dell’espulsione, questa potrebbe essere l’unica speranza.

Questo perché Israele è molto più immune dalle pressioni interne dei palestinesi di quanto non lo fossero i sudafricani bianchi sotto l’apartheid, che dipendevano dalla manodopera nera per tutto, dal lavoro domestico all’estrazione dei diamanti. Quando i neri sudafricani ritiravano la loro manodopera o si impegnavano in altri tipi di disordini economici, non potevano essere ignorati.

Israele ha imparato dalla vulnerabilità del Sudafrica: dagli anni ’90, la sua dipendenza dalla manodopera palestinese è diminuita costantemente, in gran parte grazie ai cosiddetti lavoratori ospiti e all’afflusso di circa un milione di ebrei dall’ex Unione Sovietica. Ciò ha contribuito a rendere possibile il passaggio dal modello di oppressione dell’occupazione all’odierno modello di ghettizzazione, che tenta di far scomparire i palestinesi dietro imponenti mura con sensori ad alta tecnologia e con la tanto decantata difesa aerea Iron Dome di Israele.

Ma questo modello – chiamiamolo “bolla fortificata” – comporta delle vulnerabilità proprie, e non solo nei confronti degli attacchi di Hamas. La vulnerabilità più sistemica deriva dall’estrema dipendenza di Israele dal commercio con l’Europa e il Nord America, per qualsiasi cosa, dal settore del turismo a quello della tecnologia di sorveglianza alimentata dall’intelligenza artificiale. Il marchio che Israele ha creato per se stesso è quello di un avamposto occidentale nel deserto, una piccola bolla di San Francisco o Berlino che si trova per caso nel mondo arabo.

Questo la rende particolarmente suscettibile alle tattiche del BDS, compresi i boicottaggi culturali e accademici. Perché quando le pop star, per evitare polemiche, cancellano le loro tappe a Tel Aviv, e le prestigiose università statunitensi tagliano i loro partenariati ufficiali con le università israeliane dopo aver assistito alla distruzione di numerose scuole e università palestinesi, e quando le persone di prestigio non scelgono più Eilat per le loro vacanze perché i loro follower su Instagram non ne rimarrebbero impressionati, si mina l’intero modello economico di Israele e il suo senso di sé.

Ciò introdurrà pressione laddove oggi i leader israeliani ne sentono chiaramente poca. Se le aziende tecnologiche e ingegneristiche globali smetteranno di vendere prodotti e servizi alle forze armate israeliane, la pressione aumenterà ulteriormente, forse abbastanza da spostare le dinamiche politiche. Gli israeliani vogliono fortemente far parte della comunità mondiale e, se si trovano improvvisamente isolati, molti più elettori potrebbero iniziare a chiedere alcune delle azioni che gli attuali leader israeliani respingono a priori, come negoziare con i palestinesi per una pace duratura radicata nella giustizia e nell’uguaglianza definite dal diritto internazionale, piuttosto che cercare di proteggere la propria bolla fortificata con il fosforo bianco e la pulizia etnica.

Il problema, naturalmente, è che per far funzionare le tattiche nonviolente del BDS, le vittorie non possono essere sporadiche o marginali. Devono essere sostenute e popolari, almeno quanto la campagna sudafricana, che ha visto grandi aziende come General Motors e Barclays Bank ritirare i loro investimenti, mentre artisti di fama come Bruce Springsteen e Ringo Starr si sono uniti a un supergruppo tipicamente anni ’80 per intonare “ain’t gonna play Sun City” (“non andrò a cantare a Sun City”, un riferimento all’iconico resort di lusso del Sudafrica).

Il movimento BDS contro l’ingiustizia di Israele è certamente cresciuto negli ultimi 15 anni; Barghouti stima che i “sindacati dei lavoratori e degli agricoltori, così come i movimenti per la giustizia razziale, sociale, di genere e climatica” che lo sostengono “rappresentano collettivamente decine di milioni in tutto il mondo”. Ma il movimento non ha ancora raggiunto il punto di svolta realizzato nel Sudafrica.

Questo ha avuto un costo. Non c’è bisogno di essere uno storico delle lotte di liberazione per sapere che quando le tattiche moralmente guidate vengono ignorate, messe in disparte, infangate e bandite, allora altre tattiche – svincolate da quelle preoccupazioni etiche – diventano molto più attraenti per le persone che cercano disperatamente una speranza di cambiamento.

Non sapremo mai come il presente sarebbe potuto essere diverso se un maggior numero di individui, organizzazioni e governi avessero ascoltato l’appello del BDS lanciato dalla società civile palestinese nel 2005. Quando ho contattato Barghouti qualche giorno fa, non guardava a due decenni, ma a 75 anni di impunità. Israele, ha detto, “non sarebbe stato in grado di perpetrare il suo genocidio teletrasmesso che è in corso a Gaza senza la complicità di stati, aziende e istituzioni con il suo sistema di oppressione”. La complicità, ha sottolineato, è qualcosa che tutti noi abbiamo il potere di rifiutare.

Una cosa è certa: le attuali atrocità a Gaza rafforzano drammaticamente la causa del boicottaggio, del disinvestimento e delle sanzioni. Le tattiche nonviolente che molti consideravano estreme, o per cui temevano di essere etichettati come antisemiti, appaiono molto diverse alla luce fioca di due decenni di carneficina, con nuove macerie che si accumulano sulle vecchie, nuovi lutti e traumi impressi nella psiche delle nuove generazioni e nuove profondità di depravazione raggiunte sia nelle parole che nei fatti.

Domenica scorsa, per il suo ultimo programma su MSNBC, Mehdi Hasan ha intervistato il fotoreporter palestinese di Gaza Motaz Azaiza, che rischia la propria vita, giorno dopo giorno, per portare al mondo le immagini delle uccisioni di massa di Israele. Il suo messaggio ai telespettatori statunitensi è stato netto: “Non definirti una persona libera se non puoi fare dei cambiamenti, se non puoi fermare un genocidio che è ancora in corso”.

In un momento come il nostro, siamo ciò che facciamo. Molte persone hanno fatto più che mai: bloccando le spedizioni di armi, occupando le sedi del governo per chiedere un cessate il fuoco, unendosi alle proteste di massa, dicendo la verità, per quanto difficile. La combinazione di queste azioni potrebbe aver contribuito allo sviluppo più significativo nella storia del BDS: la richiesta del Sudafrica alla Corte internazionale di giustizia (CIG) dell’Aia che accusa Israele di commettere genocidio e chiede misure provvisorie per fermare l’attacco a Gaza.

Una recente analisi del quotidiano israeliano Haaretz osserva che se la Corte Internazionale di Giustizia si pronuncerà a favore del Sudafrica, anche se gli Stati Uniti dovessero porre il veto all’intervento militare presso le Nazioni Unite, “un’ingiunzione potrebbe comportare l’ostracizzazione di Israele e delle aziende israeliane e l’assoggettamento a sanzioni imposte da singoli paesi o blocchi”.

I boicottaggi di base, nel frattempo, stanno già iniziando a dare i loro frutti. A dicembre, Puma – uno dei principali bersagli del BDS – ha fatto sapere che interromperà la sua controversa sponsorizzazione della squadra nazionale di calcio israeliana. Prima ancora, c’è stato un esodo di artisti da un importante festival del fumetto in Italia, dopo che è emerso che l’ambasciata israeliana era tra gli sponsor. Questo mese, l’amministratore delegato di McDonald’s, Chris Kempczinski, ha scritto che quella che ha definito “disinformazione” stava avendo “un impatto commerciale significativo” su alcune vendite in “diversi mercati del Medio Oriente e in alcuni al di fuori della regione”. Il riferimento era all’ondata di indignazione suscitata dalla notizia che McDonald’s Israele aveva donato migliaia di pasti ai soldati israeliani. Kempczinski ha cercato di separare il marchio globale dagli “operatori locali”, ma pochi nel movimento BDS sono convinti della distinzione.

Sarà inoltre fondamentale, mentre lo slancio per il BDS continua a crescere, essere consapevoli del fatto che ci troviamo nel mezzo di un’allarmante e reale ondata di crimini d’odio, molti dei quali diretti contro palestinesi e musulmani, ma anche contro aziende e istituzioni ebraiche semplicemente perché sono ebree. Questo è antisemitismo, non attivismo politico.

Il BDS è un movimento serio e non violento con un modello di governo consolidato. Pur lasciando agli organizzatori locali l’autonomia di determinare quali campagne funzioneranno nelle loro aree, il comitato nazionale BDS (BNC) stabilisce i principi guida del movimento e seleziona attentamente un piccolo gruppo di obiettivi aziendali ad alto impatto, scelti “a causa della loro comprovata complicità nelle violazioni dei diritti umani dei palestinesi da parte di Israele”.

Il BNC è anche molto chiaro sul fatto che non chiede il boicottaggio di singoli israeliani perché sono israeliani, affermando che “rifiuta, per principio, il boicottaggio di individui basato sulla loro opinione o identità (come la cittadinanza, la razza, il genere o la religione)”. In altre parole, i bersagli sono istituzioni complici del sistema di oppressione, non persone.

Nessun movimento è perfetto. Ogni movimento farà dei passi falsi. La domanda più urgente ora, tuttavia, ha poco a che fare con la perfezione. È semplicemente questa: cosa ha le maggiori possibilità di cambiare uno status quo moralmente intollerabile, fermando al contempo ulteriori spargimenti di sangue? L’indomito giornalista di Haaretz Gideon Levy non si fa illusioni su ciò che sarà necessario. Recentemente ha detto a Owen Jones: “La chiave è nella comunità internazionale – voglio dire, Israele non cambierà da solo… La formula è molto semplice: finché gli israeliani non pagheranno e non saranno puniti per l’occupazione e non ne risponderanno e non la sentiranno quotidianamente, non cambierà nulla”.

È tardi

Nel luglio 2009, pochi mesi dopo la pubblicazione del mio articolo originale sul BDS, mi sono recata a Gaza e in Cisgiordania. A Ramallah ho tenuto una conferenza sulla mia decisione di sostenere il BDS. Ho incluso le mie scuse per non aver aggiunto la mia voce prima, e ho confessato di aver avuto paura: paura che la tattica fosse troppo estrema se rivolta a uno stato forgiato dal trauma ebraico; paura di essere accusata di tradire il mio popolo. Paure che ho ancora.

“Meglio tardi che mai”, mi ha detto un gentile spettatore dopo la conferenza.

Era tardi allora, è ancora più tardi adesso. Ma non è troppo tardi. Non è troppo tardi per tutti noi per creare una nostra politica estera dal basso, che intervenga nella cultura e nell’economia in modi intelligenti e strategici – modi che offrano una speranza tangibile che i decenni di impunità incontrollata di Israele cessino finalmente.

Come ha chiesto la settimana scorsa il comitato nazionale BDS: “Se non ora, quando? Il movimento anti-apartheid sudafricano si è organizzato per decenni per ottenere un ampio sostegno internazionale che portasse alla caduta dell’apartheid; e l’apartheid è caduto. La libertà è inevitabile. È il momento di agire per unirsi al movimento per la libertà, la giustizia e l’uguaglianza in Palestina”.

Basta. È ora di boicottare.

Fonte: The Guardian

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Il Gruppo Carrefour, azienda multinazionale della grande distribuzione con sede in Francia che possiede più di 3.400 negozi nel mondo, è coinvolto nei crimini di guerra commessi dal regime israeliano di occupazione, colonizzazione e apartheid contro il popolo palestinese.

L'8 marzo 2022, la multinazionale francese Carrefour ha annunciato un nuovo accordo di franchising con la società israeliana Electra Consumer Products e la sua controllata Yenot Bitan, entrambe attive nelle colonie israeliane illegali. Secondo questa nuova partnership con Electra Consumer Products, le bandiere di Carrefour sventolano nell'Israele dell’apartheid, e tutti i negozi Yenot Bitan - più di 150 fino ad oggi - hanno accesso ai prodotti del marchio Carrefour.

Questa decisione rende Carrefour complice dei crimini di guerra commessi dal regime israeliano di occupazione, colonizzazione e apartheid contro il popolo palestinese.

Israele può mantenere il suo regime di colonialismo di insediamento e di apartheid sul popolo palestinese soltanto grazie al sostegno di governi, imprese e istituzioni alle quali dobbiamo chiedere conto del loro ruolo nel consolidamento e nel radicamento di un regime criminale di ingiustizia e di oppressione che dura da 75 anni.

La partnership firmata dal Gruppo Carrefour con Electra Consumer Products e la sua filiale di distribuzione Yenot Bitan è direttamente legata alla fornitura di servizi a sostegno dell'esistenza e del mantenimento delle colonie, nonché all'utilizzo delle risorse naturali palestinesi a fini commerciali da parte loro.

Inoltre, il Gruppo Carrefour e le sue filiali locali sostengono apertamente l'esercito di occupazione israeliano nel massacro che si sta svolgendo a Gaza, consegnando razioni alimentari ai suoi soldati. Ciò costituisce un sostegno logistico al genocidio dei palestinesi a Gaza.

Insieme, portiamo avanti il boicottaggio contro Carrefour!

Il 12 dicembre 2022, il Comitato nazionale palestinese per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BNC) ha lanciato la campagna #BoycottCarrefour, chiamando i sostenitori dei diritti dei palestinesi a boicottare il Gruppo Carrefour in tutto il mondo fino a quando:

  • non rescinderà l'accordo di franchising con Electra Consumer Products e la sua controllata Yenot Bitant; e
  • non sospenderà ogni vendita di prodotti provenienti dagli insediamenti israeliani illegali nelle migliaia di supermercati e di negozi locali che gestisce nel mondo.

Nel novembre 2022, un rapporto co-firmato da 7 grandi organizzazioni della società civile francese (aggiornato nell’ottobre 2023), ha rivelato al mondo la complicità del Gruppo Carrefour nei crimini commessi dal regime di oppressione israeliano contro il popolo palestinese.

Rafforziamo la campagna di boicottaggio di Carrefour anche in Italia con azioni di boicottaggio e di pressione:

Scrivi a Carrefour: Stop alle complicità con i crimini di Israele

Scrivi a Carrefour per chiedere di interrompere la partnership con le aziende israeliane Electra Consumer Products e la sua controllata Yenot Bitan e di porre fine alle complicità con le violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale da parte del regime israeliano di colonialismo, occupazione e apartheid.

Queste aziende israeliane sono coinvolte attivamente nella colonizzazione illegale, un crimine di guerra secondo il diritto internazionale. Inoltre Il Gruppo Carrefour e le sue filiali locali danno un sostegno logistico all'esercito di occupazione israeliano nel massacro che si sta svolgendo a Gaza, fornendo razioni alimentari ai soldati.

Chiediamo a Carrefour di rispettare la sua stessa Carta d’Impegno di Responsabilità Sociale d’Impresa, secondo la quale si impegna a evitare “qualsiasi condotta che possa configurare complicità in abusi dei diritti umani da parte di persone e entità con cui ha rapporti commerciali o da parte di organizzazioni governative o non-governative.”

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Spett.le Carrefour Italia,

Recentemente ho appreso che il Gruppo Carrefour ha firmato un contratto di franchising con due società israeliane, la Electra Consumer Products e la sua controllata Yenot Bitan, coinvolte attivamente nella colonizzazione israeliana, un crimine di guerra secondo il diritto internazionale. Questa decisione rende Carrefour complice dei crimini di guerra commessi dal regime israeliano di occupazione, colonialismo di insediamento e apartheid nei confronti del popolo indigeno palestinese.

Inoltre, il Gruppo Carrefour e le sue filiali locali sostengono apertamente l'esercito di occupazione israeliano nel massacro che si sta svolgendo a Gaza, fornendo migliaia di razioni alimentari ai soldati. Ciò costituisce un sostegno logistico a un'operazione militare che colpisce indiscriminatamente la popolazione civile, in gran parte bambini e donne, e si caratterizza come un crimine di genocidio, secondo il diritto internazionale.

Ritengo inammissibile il coinvolgimento della vostra azienda nelle violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale. Ciò è tra l’altro anche in contrasto con la Carta d’Impegno di Responsabilità Sociale d’Impresa pubblicata sul vostro sito internet, secondo la quale Carrefour si impegna a evitare“ qualsiasi condotta che possa configurare complicità in abusi dei diritti umani da parte di persone e entità con cui ha rapporti commerciali o da parte di organizzazioni governative o non-governative.”

Il Gruppo Carrefour, come molte altre aziende occidentali, ha deciso di protestare contro la Russia a causa dell’invasione dell’Ucraina rimuovendo i prodotti russi dai suoi negozi. Mi aspetterei che Carrefour prendesse una posizione altrettanto decisa di fronte alle violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale che Israele continua a compiere nei confronti dei palestinesi.

Il Gruppo Carrefour non dovrebbe sostenere un regime di apartheid e di colonizzazione che sta compiendo un genocidio.

Chiedo al Gruppo Carrefour di porre fine alla partnership con Electra Consumer Products e la sua controllata Yenot Bitan e di cessare tutte le vendite di prodotti provenienti da insediamenti israeliani illegali in tutti i supermercati e minimarket della catena.

Fino a quando il Gruppo Carrefour non smetterà essere complice delle violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale e di trarre profitto dall’oppressione di Israele nei confronti del popolo palestinese, ho deciso di boicottare tutti i supermercati e i negozi a marchio Carrefour. Inoltre inviterò tutti i miei famigliari e conoscenti a partecipare a questo boicottaggio.

È una posizione etica di cui sono orgoglioso.

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