16 maggio 2011

Incontro con i professori di agronomia della facoltà di Al-Azhar

Nel pomeriggio una delegazione del convoglio ha incontrato alcuni professori di agronomia della facoltà di Al -Azhar per approfondire la tematica della coltivazione della terra nella striscia di Gaza e le sue evidenti problematiche.

Abbiamo incontrato il professor Ahmed Schaban, agronomo specializzato in economia e gestione delle risorse, il professor Khalil Tubai, scienziato del suolo e il professor Isalznad, specializzato in orticoltura.
Immediatamente gli agronomi hanno ringraziato per la presenza e l'interessamento il convoglio, sottolineando quanto sia importante per la Palestina. Hanno ovviamente parlato di Vik, con sentita commozione, ricordando come il suo lavoro a fianco dei contadini fosse fondamentale. "Era conosciuto da tutti i Gazawi come un fratello, il ragazzo italiano, una presenza non istituzionale, nelle strade, tra la gente".
Dimostrandosi molto disponibili ed entusiasti, ci hanno fatto una panoramica, in modo anche tecnico, delle problematiche che affliggono la coltivazione della terra nella Striscia e nel West Bank.

La terra in Palestina è fertile e feconda, il clima ottimo per numerose colture anche di eccellenza: peperoni, cetrioli, fragole, fiori, pomodori. Una volta anche il sesamo, ora non più. La Palestina continua a produrre "la migliore salsa di sesamo dell'intero medio oriente, ma deve comprare il sesamo dagli altri!" Una coltivazione di colture intensive, che non necessitano di ampi terreni, coprirebbe ampiamente il fabbisogno alimentare interno.

L'occupazione israeliana e il viscido colonialismo economico, volto a paralizzare qualsiasi sostentamento e a massimizzare gli introiti israeliani rappresentano ovviamente il limite più grande per l'agronomia locale. L'esproprio delle maggiori risorse idriche da parte di Israele porterà presto al collasso il sistema idrico della zona: purtroppo le piogge rappresentano l'unica forma di mantenimento delle acque sotterranee, ma il bilancio tra quanta acqua viene estratta e quanta rientra nelle falde è negativo. Presto il livello scenderà a tal punto da venire colmato da acqua marina, che distruggerà definitivamente la coltivabilità della terra. Israele blocca tutti gli approvvigionamenti sotterranei prima del confine, rubando di fatto l'acqua che naturalmente fluirebbe dal Giordano, dimostrando anche un uso dissennato di quella che è una risorsa limitata. Un colono consuma la stessa acqua di circa duecento palestinesi.

La militarizzazione della buffer zone inoltre espropria i contadini delle terre più fertili. Con le sue incursioni e con i bombardamenti, lo stato Israeliano riesce a distruggere fino al 40% della produzione agricola finita.

E' impossibile importare con continuità fertilizzanti e prodotti chimici: questo paradossalmente incentiva il traffico illegale attraverso i tunnel di Rafah soprattutto di prodotti altrove proibiti, come il bromuro di metile, danneggiando la qualità e aumentando i rischi per la salute.

L'esportazione di prodotti palestinesi è un altro problema: a seguito degli accordi di Oslo l'unica modo di poter esportare è tramite Agrexco, a tutto vantaggio di Israele e a discapito dell'economia locale. "Un disastro e un crimine!" lo definiscono i professori. Gli unici prodotti che possono essere esportati, anche se non agevolmente, sono i prodotti di trasformazione come l'olio, ma purtroppo il settore è quasi inesistente.

I problemi sono anche di natura interna, comunque riconducibili all'occupazione. Non esiste un piano per la produzione agricola condiviso e non esiste nemmeno coordinazione tra governo, ONG e Nazioni Unite. La totale frammentazione delle fattorie, che rimangono a conduzione familiare, e l'assenza di consorzi e cooperative aggravano la situazione.

Dopo questa lunga panoramica c'è stato un confronto tra gli agronomi e i membri del convoglio per suggerire possibili soluzioni. Ovviamente un piano governativo efficiente è di primaria importanza. Inoltre servirebbero nuove infrastrutture, soprattutto idriche, che valorizzino il recupero dei reflui. Bisognerebbe poi incentivare l'autoproduzione e l'utilizzo di tutti gli spazi urbani per incrementare l'autosufficienza alimentare, progetti come proof garden e in generale quella che viene chiamata urban agricolture sono visti come facili soluzioni che esulano dagli innumerevoli problemi politici. L'utilizzo di piccole serre di semplice manifattura e di colture idroponiche (che non necessitino ovviamente di un monitoraggio computerizzato) renderebbero utilizzabile l'acqua del mare non completamente dissalata, dando così respiro allo sfruttamento delle falde. Ovviamente non si pretende di risolvere un problema abnorme con questi mezzi, ma al momento questa sembra una via percorribile per aiutare la popolazione se non altro a nutrirsi decentemente. Piccoli progetti in questo senso hanno già dato buoni risultati. Resta chiaro che l'unica vera soluzione sarebbe la fine degli attacchi militari e dell'occupazione israeliana, su questo concordano tutti.

Dopo almeno due ore la delegazione del convoglio viene salutato con calore e col vivo augurio di mantenere i contatti e approfondire eventuali progetti futuri. Ringraziano tutti gli attivisti internazionali per ciò che fanno e per il calore che trasmettono ai palestinesi.

Fonte: Convoglio Restiamo Umani (CO.R.UM)