È naturale che Israele esporti armi e pratiche poliziesche - ha passato decenni a "collaudarle in battaglia" contro i palestinesi

di Riya Al'sanah e Rafeef Ziadah

Dalla rivolta di Black Lives Matter negli Stati Uniti, il razzismo strutturale e la brutalità della polizia sono al centro del dibattito sul palcoscenico internazionale.

Forse ciò che è più stimolante è la vivace discussione in corso sulla riforma della polizia come parte di una più estesa politica abolizionista. Coloro che sono coinvolti in movimenti anti-razzisti fanno, ovviamente, da qualche tempo riferimento alle più annose vicende coloniali della brutalità della polizia, facendo accostamenti tra le varie realtà e mettendo sotto esame la circolazione internazionale di tattiche e tecnologie coercitive di polizia.

Inevitabilmente Israele è entrato in tale dibattito. Non perché tutte le pratiche repressive della polizia provengano da Israele. Certamente le pratiche di polizia statunitensi e britanniche erano razziste molto prima della creazione dello Stato di Israele.

Ma è anche un dato di fatto che Israele abbia acquisito un ruolo centrale negli armamenti internazionali e nella cosiddetta industria della sicurezza interna. Negare questo significherebbe considerare Israele un'eccezione. Israele ha esportato le sue attrezzature militari, dottrine e tattiche per regimi repressivi in tutto il mondo e ha imparato anche da altri. Questa è la vera natura dell'industria delle armi e della sorveglianza: è di dimensioni internazionali.

Israele, proprio grazie al suo pluridecennale colonialismo e alla sua occupazione militare, che controllano ogni aspetto della vita palestinese, ha commercializzato i suoi strumenti come "collaudati in battaglia" e "testati sul campo". Definire questa una realtà non è una teoria della cospirazione.

Esportazioni militari e tecnologiche di Israele.

Israele è l'ottavo maggiore esportatore militare al mondo. Tra il 2015 e il 2019 le esportazioni del governo e delle società private israeliani si sono attestate a livelli record, pari al 3% del totale delle esportazioni globali di armi. Significativamente l'India, che assorbe il 45% delle sue esportazioni militari, è il suo più importante acquirente. Considerando le condotte brutali del governo fondamentalista di destra di Narendra Modi in Kashmir e contro i musulmani in India, questa tendenza è molto preoccupante.

Oltre ad esportare armi, Israele possiede un settore di alta tecnologia votato all'esportazione che è estremamente attraente per gli investitori internazionali di industrie private. Nel 2019, le società tecnologiche israeliane hanno raggiunto un record di 8,3 miliardi di dollari [7,35 miliardi di euro, N.d.T.] di finanziamenti in conto capitale. La maggior parte degli investimenti è andata alle società di intelligenza artificiale che hanno raccolto 3,7 miliardi di dollari [3,3 miliardi di euro, N.d.T.] e alle società di sicurezza informatica che hanno raccolto 1,88 miliardi di dollari [1,66 miliardi di euro, N.d.T.].

Su base annuale, le compagnie israeliane di sicurezza informatica esportano prodotti e servizi per un importo di 6,5 miliardi di dollari [5,75 miliardi di euro, N.d.T.]. È noto che alcuni di questi prodotti sono finiti nelle mani di regimi repressivi e sono stati utilizzati contro i difensori dei diritti umani.

La sottomissione da parte israeliana dei palestinesi si è dimostrata redditizia. La repressione sistematica e continua dei palestinesi fornisce la cornice per l'innovazione tecnologica, lo sviluppo e, soprattutto, il marketing.

Gli apparati militare e di sicurezza israeliani funzionano come un laboratorio in cui i meccanismi di controllo, sorveglianza e repressione vengono costantemente sviluppati e implementati contro una popolazione colonizzata, senza limiti o rispetto per i diritti umani.

L'esercito genera inoltre una forza lavoro altamente qualificata per la sorveglianza e l'industria tecnologica in senso lato. Circa 7.500 soldati si diplomano annualmente presso la Scuola per operatori informatici e sicurezza informatica. Una volta diplomati, vengono arruolati in una delle unità di intelligence d'élite dell'esercito nella divisione comunicazione, come le famigerate unità 8200, 8100 e 9000. Alla fine dei loro anni di servizio militare, privatizzano le conoscenze acquisite dai militari e le vendono sul mercato globale.

Oppressione come marketing.

Per le aziende private avere un rapporto con l'apparato militare e della sicurezza di Israele è un punto di forza. La Gerusalemme occupata è diventata uno showroom sulla tecnologia di sorveglianza urbana e le pratiche di polizia. I servizi di sicurezza della polizia e degli interni di tutto il mondo si riversano nella città per imparare ed essere addestrati in base alle più recenti tecniche di sorveglianza della popolazione.

Nel 2016,  il portavoce della polizia israeliana dell'epoca, Mickey Rosenfeld disse:

“Negli ultimi anni ci sono state dozzine di delegazioni e diverse organizzazioni, delle forze dell’ordine e di sicurezza europee, della sicurezza interna e degli agenti degli Stati [Uniti], che sono venute ed hanno esaminato come funziona il sistema per imparare come usarlo all'estero.”

Le compagnie israeliane coinvolte nella sorveglianza visiva, nella tecnologia di riconoscimento facciale e sonoro, vantano software che possono "prevedere e prevenire" e hanno la capacità di rilevare il "lupo travestito da pecora". Ciò equivale alla criminalizzazione di tutti i palestinesi, come il 32enne Iyad el-Hallaq, che è stato inseguito e giustiziato mentre si recava in una scuola per persone con bisogni speciali nella Città Vecchia di Gerusalemme.

Le barriere israeliane sottomarine e quelle di cemento che circondano Gaza sotto assedio, insieme al muro dell'apartheid, sono diventate una vetrina delle tecniche e dell'hardware sul controllo e pattugliamento delle frontiere. Non è un caso che quando Donald Trump mette in mostra il suo famigerato muro di confine, il muro di Israele sia considerato il suo modello.

D'altra parte, la rete di posti di controllo militari che attraversano la Cisgiordania è una continua messa in mostra di tecnologie di sorveglianza e di controllo dei movimenti. La sottostante tecnologia biometrica viene commercializzata per i valichi di frontiera di tutto il mondo.

Le aziende israeliane stanno vendendo qualcosa di più rispetto ad un semplice assortimento di prodotti. Commercializzano l’esperienza, la competenza e l’autoconsapevolezza radicate in un progetto coloniale. Ciò che viene venduto è essenzialmente l'esperienza pluridecennale di Israele nella repressione dei palestinesi.

Nel 2014, l'Ufficio Amministrativo del Commercio con l'Estero di Israele ha chiarito:

“Israele ha sperimentato la minaccia del terrorismo per decenni e, per necessità, è giunto ad eccellere nel campo della sicurezza nazionale. Di fatto, nessun altro paese ha una percentuale più elevata di ex militari, di agenti di polizia e di sicurezza con esperienza concreta nella lotta al terrorismo. Aggiungete a ciò l'innovazione di livello mondiale che caratterizza la Startup Nation [Paese delle nuove imprese, dal titolo di un libro sulla continua nascita di imprese in Israele, N.d.T.], e non c'è da meravigliarsi se i paesi di tutto il mondo si rivolgono a Israele per ottenere soluzioni alle sfide della sicurezza interna".

Sfruttare la crisi.

L'industria militare e di sorveglianza interna di Israele guarda al mercato internazionale. Le strutture militari e di sicurezza israeliane potrebbero essere i primi acquirenti, ma il mercato è piccolo e le aziende militari e di sicurezza israeliane traggono la maggior parte dei loro profitti dalle vendite sul mercato internazionale. Ad esempio, nel 2019, Elbit System, la più grande compagnia militare privata di Israele, ha guadagnato attraverso le vendite sul mercato interno solo 1.064 milioni di dollari [936,25 milioni di euro, N.d.T.] del totale di 4.508,5 milioni di dollari [3.966,97 milioni di euro, N.d.T.] di fatturato.

Un bando di gara pubblicato recentemente dalla SIBAT, la Direzione della Cooperazione Internazionale alla Difesa dell'IMOD - un organo progettato per divulgare la tecnologia militare israeliana a livello internazionale - ci offre una buona percezione di dove Israele si stia posizionando e dove colga le opportunità all’interno della realtà post-Covid-19.

Sulla base dell'idea che il Covid-19 porterebbe a devastazioni economiche su scala internazionale e che gli stati dovranno tenere sotto controllo e reprimere le popolazioni che dovessero opporre resistenza, SIBAT intende identificare i potenziali clienti per le aziende militari e di sicurezza israeliane. Non esiste discriminazione quando si tratta di potenziali acquirenti. È necessario creare un portafoglio paese per paese, analizzando le esigenze di sicurezza di "tutti i paesi del mondo, ad eccezione degli stati con i quali è vietato commerciare (Iran, Libano, Siria)".

In particolare, Israele sta cercando di identificare il potenziale di esportazione della tecnologia di raccolta dei dati biometrici, dei sistemi di localizzazione umana e dei veicoli, del riconoscimento facciale, dei sistemi di rilevamento sonoro e visivo, del monitoraggio delle targhe, della sorveglianza cellulare e informatica per scopi di raccolta di informazioni, nonché dei software per il blocco e l'intercettazione delle informazioni.

Il nostro punto qui sul ruolo di Israele come nodo importante nel trasferimento di tecnologie coercitive è tutt'altro che nuovo. È stato ben documentato in numerosi articoli di ricerca, libri e rapporti delle ONG, per non parlare della sua evidenza sui corpi dei palestinesi e nelle loro esperienze quotidiane. Un aspetto persistente della violenza contro i palestinesi consiste in una costante negazione di questa realtà.

Da quando, il mese scorso, Rebecca Long-Bailey [già ministro ombra all’istruzione del partito laburista britannico, è stata licenziata per un suo tweet ritenuto antisemita, N.d.T.] ha perso il lavoro, è stato notevole assistere a un dibattito su Israele e la sorveglianza nel Regno Unito senza quasi alcuna voce palestinese. In questo momento di discussione sul razzismo strutturale e sulla solidarietà, vale la pena riflettere sul perché nei dibattiti sulla nostra vita quotidiana, i palestinesi siano trattati come semplici spettatori.

Infine, nel riflettere su come costruire la solidarietà tra i movimenti durante l'era Covid-19 e l'incombente crisi economica, è vitale andare oltre l'enunciazione di politiche e di analogie. Non si tratta semplicemente di rintracciare fra gli stati programmi di addestramento o di trovare immagini di comportamenti simili della polizia - le connessioni nel settore industriale delle armi e della sorveglianza sono molto più profonde e avranno ovunque un impatto sulla nostra capacità collettiva di vivere e resistere.

Non è un compito facile, ma nel procedere dobbiamo iniziare dall'identificare connessioni materiali e logiche condivise e dallo sviluppare una migliore comprensione del modo in cui tecnologia, capitale e dottrine si muovono tra regimi repressivi.

Riya Al’sanah è coordinatrice della ricerca presso il centro di ricerca Who Profits.

Rafeef Ziadah è docente presso il dipartimento di Studi politici e internazionali presso la SOAS, Università di Londra.

Fonte: Novara Media

Traduzione di BDS Italia